Lavoro in un bar da otto mesi. In un bar pasticceria, per la precisione, che si trova in una zona residenziale, una zona di lusso.
Ho una divisa un po’ demodé con un budge bianco e il mio nome scritto in corsivo svolazzante.
Passa molta gente; va e viene. Alcuni ho imparato a conoscerli abbastanza, si fermano a fare colazione quasi tutte le mattine, prima di andare in ufficio o a far compere; oppure a bere un caffè per spezzare la giornata.
E’ un buon posto. Incontro belle persone, il più delle volte serene.
Le colleghe si son rivelate semplici e mi hanno accolto come una di loro fin da subito, quando ancora giravo sempre immusonita per il dolore e la fatica. Mio marito Gianni è stato investito da un autista rimasto anonimo, probabilmente drogato o ubriaco, mentre tornava a casa dal lavoro in bicicletta. Si sta rimettendo più lentamente del previsto, però almeno, adesso, è a casa e riusciamo a vivere meglio.
Tra i vari soggetti umani che vedo tutti i giorni, quella che osservo incantata è una tenera coppietta. Lui e lei della terza età.
Mi commuovono.
Di solito li vedo arrivare dalla grande vetrata a nord della pasticceria. Camminano lentamente tenendosi per mano, le dita intrecciate strette, chiacchierando.
Lui è alto, un po’ ingobbito; veste comodo e sportivo, anche se elegante.
Lei è piccolina, fa due passi per uno di lui; è sempre un po’ impettita e abbigliata con sobri abiti di firma, o, credo, di sartoria. È molto snella, quasi magra e cammina senza incertezze sui tacchi quadrati delle scarpe.
Certe volte lui le mette un braccio attorno alle spalle o alla vita e avanza piegato su di lei come un pino cresciuto storto. Oppure la fa fermare in mezzo al marciapiede e le fa una carezza sulla guancia. Raramente le poggia un bacio veloce sulle labbra.
Quando arrivano alla porta, lui la tiene aperta finché lei non è passata; al tavolo, scosta la sedia e attende che lei sia seduta, le accarezza le spalle e poi si siede al suo posto.
Lui ha il volto luminoso, gli occhi chiari, appena annacquati, ma vivaci; un bel sorriso; pettina i capelli bianchi all’indietro e li porta un po’ lunghi sul colletto. Le mani sono grandi, dalle pieghe profonde, le vene in rilievo. Tremano un pochino.
Lei è un po’ più giovane del suo lui. Ride spesso e la sua risata corre qua e là per il locale schiarendo le fronti aggrottate. Parla quasi sottovoce; porta gioielli piccoli, ma dalle pietre luminose che scintillano alla luce. Bionda e con gli occhi marroni appena truccati che luccicano birichini.
Non ho mai visto una donna di quell’età che sa truccarsi.
Quando sorride un ventaglio di rughe profonde le si apre fin all’inizio delle tempie, ma lei non sembra saperlo.
Li osservo spesso mentre parlano fitto fitto con le teste vicine, le mani macchiate intrecciate sul tavolo.
Ordinano sempre il tè con la stessa scelta di pasticcini e rimangono quieti, godendo la reciproca compagnia anche per un paio d’ore.
A volte portano un libro e lui legge per lei con dizione perfetta e intonazione da attore. Si mette gli occhiali e sta chino sul tavolino troppo basso. Lei lo ascolta con la schiena appoggiata alla poltroncina e le gambe accavallate.
A volte discutono. Mi piacerebbe sapere di che.
Quando sono tesi, le guance di lei si arrossano e lo sguardo di lui s’incupisce. Sul volto di entrambi si stende un dispiacere palpabile.
Io mi dispiaccio con loro.
Le colleghe mi prendono in giro che sto lì a bocca aperta a spiare gli innamoratini!
Io li guardo e sogno me e Gianni fra cinquanta o sessant’anni. Vorrei che anche il nostro amore fosse così longevo, così forte e intenso da durare una vita.
Chissà, magari si son conosciuti come me e Gianni da giovani, a 17 anni, e son rimasti assieme costruendo un rapporto lungo sessant’anni.
Mi commuovono.
Oggi lei ha tra le mani tre rose rosse dal gambo lungo confezionate con raffinatezza e quando mi avvicino sento lui parlare dell’anniversario.
Senza pensare, con gioia, mi faccio avanti ed esclamo: «Auguri! Da quanto siete sposati?»
In contemporanea lui: «Da quarantadue anni», lei: «Da trentott’anni».
Mi fermo incerta con l’imbarazzo che m’impaccia. Ho fatto una gaffe?
Li guardo, ma non mi vedono. Occhi negli occhi si sorridono. Lui dice: «Non siamo sposati tra noi. Noi siamo amanti da tre anni.»
E rimangono nel loro mondo innamorati e felici.
Torno dietro al bancone e preparo la solita scelta di pasticcini con il tè che si son dimenticati di ordinarmi.