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AnikaRevenge

Cammina, nervosa, su e giù nel parco grondante acqua gelida.
Molto irritata.
Una giornata negativa con uno strascico di emozioni schifose: umiliazione, inadeguatezza, incapacità.
Ogni volta Anika si pone in difetto, sente di aver commesso errori. Ogni colloquio andato male, esame non passato, rapporto esaurito, vive questo schifo profondo verso se stessa, questo rifiuto di sé, questa analisi puntigliosa del minuto per minuto alla moviola della memoria di quanto accaduto.
Calcia i sassi più grandi con forza, che si perdono qua e là, lontani.
Si tormenta: “Perché proprio a me? Perché solo a me? Sono una schifezza!” Passeggia, o meglio, caracolla nel parco e si demolisce, si disintegra per la sua incapacità. S’incolpa di non essere in grado di rapportarsi in modo decente con gli altri. Si colpevolizza per non essere stata capace di nascere con i geni giusti.
O con i genitori giusti. A seconda dei giorni e della gravità della faccenda.

A volte borbotta tra sé: “Perché ho parlato? Perché non potevo stare zitta?” oppure il contrario: “Perché non ho parlato? Perché non potevo dire quello che pensavo?”
Con queste domande inizia la sua seconda fase.
La fase della rabbia profonda, pazza, ingestibile, cieca e ingiustificata verso sì, se stessa, ma anche verso gli altri attori prevaricatori.
I passi si fanno veloci, le braccia si alzano, le mani aperte quasi a voler schiaffeggiare il cielo del quale non percepisce neppure il colore cupo.
In quei momenti cerca di stare isolata perché i meccanismi di gestione di questo sentimento non le sono proprio ancora molto ben chiari, nonostante i corsi seguiti.
La sua sofferenza, la demolizione della sua personalità, la susseguente rabbia sono processi faticosi, che scatenano il desiderio di vendetta, di rivalsa. Provocati dal suo senso d’ingiustizia, dalla sensazione di giustizia mancata.
I piani per vendicarsi di chi ha spezzato e calpestato i suoi sogni, le sue speranze per raggiungere una vita migliore, si moltiplicano.
La sua testa ribolle tra rabbia, piani di vendetta e di rivalsa, forte emozione d’ingiustizia che traboccano da lei.

Quasi corre, il fiato corto, la voglia di affrontare fisicamente un nemico.
A volte colpisce gli arbusti con i piccoli pugni stretti.
A questo punto raggiunge l’apice dell’inventiva: “Potrei mandare una lettera alla guardia di finanza.”
E pennella nella mente la scena del Tizio che le ha fatto il colloquio di lavoro andato male, in manette per evasione fiscale o peggio per qualche altro reato che solo lei aveva potuto mettere in luce.
Oppure si proietta il film dell’arresto del professore che non l’ha fatta passare all’esame mentre viene chiamato dal preside accusato di incapacità o di qualunque altra inadempienza ovviamente scoperta e svelata da lei!
Anika ha una mente prolifica e piena d’immaginazione e fantasia e aggiunge vendetta a rivalsa, mentre inizia a farsi strada, timidamente, la consapevolezza che nessun estraneo potrebbe mai fare per lei giustizia, realmente.
La saggezza popolare lo sparge per il mondo da secoli: la giustizia non è di questo mondo.
Così lentamente la sua rabbia decresce dal calor bianco ai 437 gradi Fahrenheit.
Più gestibile.
Comincia a chiedersi se davvero la vendetta potrebbe portarle pace e a che punto sarebbe giusto portare la vendetta: alla distruzione civica dell’altro? Basterebbe l’annientamento sociale dell’altro a soddisfare il suo senso di giustizia? O ci vorrebbe qualcosa di più forte ancora? Magari proprio la morte e la cancellazione dell’altro?
Anika rabbrividisce: “Probabile che stia esagerando”.

Come tutti, ha già imparato che non ci sono tribunali, che non ci sono vendette che possano farla sentire meglio. Non esiste giustizia che possa lenire le emozioni che ha vissuto. Ripagarla per ciò che ha vissuto.
Cammina più lentamente nel parco. È stanca e le viene da piangere.
Le emozioni che la tormentano le conosce bene, ma sono sempre sfibranti e, tutto sommato, inutili. Il nemico vero in fondo non è l’eventuale datore di lavoro, o il professore, o gli altri.
Il nemico vero e reale è la vita.
Non può avere giustizia per ciò che la vita decide di farle provare.
Le prove richieste vanno affrontate e superate dentro lei stessa. Contro non ci può andare.
Anika si sente frustrata e incattivita ogni volta un po’ di più.
L’unica vendetta vera contro la vita è viverla e camminare verso l’obiettivo scelto senza tentennamenti. Senza mai smettere di continuare a farlo.
È arrivare al fondo di sé. Estirpare la negatività. Ritrovare l’equilibrio, la serenità e la forza di camminare la vita ancora e ancora.
Così le vengono in mente gli incontri che sta seguendo per il percorso A TUXTU e gli appunti presi. Trascinandosi appresso la rabbia, la negatività della giornata, le emozioni che ha provato e tutto lo sfinimento che hanno prodotto rientra a casa.
Si fa una breve doccia calda.
Si prepara una tisana bollente nella sua tazza preferita, regalo che il suo ex le portò dal viaggio a New York, gialla canarino.
Si siede alla piccola scrivania che aveva preparato seguendo i consigli del percorso, apre il quaderno emotivo ancora intonso e gli appunti.
Lascia andare, al principio lentamente e con difficoltà, poi sempre più velocemente, le emozioni – rabbia compresa -.

Dal profondo del sé li fa scorrere lungo il braccio, nell’inchiostro della penna fino a trasformarli in concretezza. In parole più o meno violente. In sottolineature marcate che a volte forano il foglio per la foga che ci mette.
Toglie carico pesante al soul stanco e appesantito.
Stacca da sé negatività, ingiustizia, vendetta e rivalsa.
Li depositava nei fogli.
Scrive per 45 minuti senza mai staccare la penna dal foglio.

Le pare proprio di aver scaricato tutto il possibile per quel giorno quando si trova cosciente del male al polso e alla mano.
La sua visione dei fatti è cambiata.
La sua rabbia e tutto il viluppo di stress e ansia correlate a essa sono lì. Davanti a lei. Pagine reali e concrete che può sentire e percepire come entità staccate, che può decidere di buttare, di bruciare (“Altamente catartico, ma prematuro”, pensa), o di utilizzare in altri modi.
Per un confronto posteriore con se stessa.
Per la creazione di un racconto, di una storia, di una poesia.
Si rende conto che ha provato tutta quella negatività e ha potuto trasformarla in altro.
Soprattutto ha potuto buttarla fuori da sé.
Soddisfatta della sua scelta, non si sente più vittima di ingiustizie, ma attrice principale della sua vita.
Ha passato un brutto momento e l’ha superato.
Si sente di nuovo in equilibrio.
È di nuovo in grado di percorrere la sua vita.
Tira un sospiro di sollievo.
Ripacificata.
Si alza e si stiracchia nel pigiama rosa caldo e grande.
Va alla finestra e guarda le luci della sera.
Serena.

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