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L’attimo_destabilizzante

Risposi al cell, che mi assordava, sbadigliando: «Ciao, Franca.»
«Ehi, ti velocizzi? Ti sto aspettando qui sotto. Come al solito sei in ritardo!»
In ritardo per cosa? Non riuscivo a svegliarmi.
Che ore erano?
Non lo sapevo. Sul comodino ammiccava la sveglia rotta, retaggio di tempi antichi. Chissà perché la tenevo ancora? Avrei fatto meglio a buttarla…
«Allora? Carla?»
«Scusa, Franca. Che ore sono?»
«Sei e trenta in punto!»
Ecco, appunto. Mi sembrava fosse presto. Ma non mi veniva in mente nessun impegno…
«Scusa, adesso mi sveglio. Ma che dovevamo fare oggi?»
«Carla! Come che dovevamo fare? Dovevi tu andare a Treviso e io ti dovevo accompagnare, no?»
«Ah, quello. Certo. Grazie mille. Ma sei troppo in anticipo. L’appuntamento è per domani mattina, Franca!»
Mi venne da ridere a pensare alla sua faccia, peccato non essere con lei!
Il silenzio in effetti era eloquente. Era offesa dalla mia risata?
«Ok. Va bene. Allora a domani. Ci sentiamo.»
Interruppe la comunicazione.
Beh, ormai ero sveglia.
Tra poco la sveglia del cell avrebbe suonato comunque. Mi sarei dovuta alzare.
Il corso. Corso di formazione e aggiornamento contabilità e bilancio che l’azienda mi aveva pagato, dopo lunghe trattative.
Uno sbadiglio smascellante.
Le lacrime agli occhi, che sembravano pieni di sabbia (troppe ore al PC), e che bruciavano.
Mi alzai, feci l’inventario di tutti i doloretti della messa in moto, alzai un po’ la persiana e sbirciai il mondo.
Freddo, nuvoloso e cupo giorno. Nessuno per strada.
Misi la vestaglia di lana e le pantofole calde, continuando a sbadigliare.
Passaggio obbligato in bagno e poi in cucina.
Fare il caffè era imperativo.
Finalmente riuscii ad aprire gli occhi.
Mi piaceva l’idea del corso di aggiornamento. Aprire la mente e aggiungere competenze, la mia passione!

Io adoro i numeri. Adoro quadrare i conti. Cerco quella sensazione di soddisfazione mista a gratificazione che mi avvolge quando termino un bilancio in partita doppia e tutto quadra. Quando i due numerini di attività e di passività occhieggiano dalla pagina perfettamente identici.
Adoro quel momento. La gioia di quel momento. Una gioia mia, segreta e privata, perché pochissimi potrebbero capire e condividere.

Poteva iniziare a quel punto una lunga meditazione deprimente sulla solitudine reale e percepita, ma il rumore del caffè mi distrasse.
Spensi la fiamma e mi versai il liquido scuro e profumato nella tazza. Aggiunsi il latte e lo sorbii lentamente guardando fuori dalla finestra. Pensando alle aspettative che mi nascevano dentro per la giornata.
Intrigata dal pensiero delle persone che avrei incontrato. Divertita già dal poter condividere il mio giorno con sconosciuti. Assaporando il piacere della novità. Pregustando i cambiamenti.
Poi feci tutto in automatico e velocemente.
Tanto velocemente che arrivai mezz’ora in anticipo alla sede del centro per la formazione in Corso Carlo Magno.
Cercai un bar lì attorno, mentre iniziava a piovere e mi lessi il quotidiano seduta ad un piccolo tavolino, bevendo il secondo caffè della giornata. Beh, nulla di nuovo. Notizie solite. Solite notizie. Guerre, attentati, impazziti che uccidevano innocenti, politica estera bla bla, politica italiana bla bla.

Faccio fatica con i concetti di pensiero che non posso trasformare in dare e avere.
M’annoia la filosofia, la politica, la partitica. M’annoiano i giornalisti, gli opinionisti, gli scrittori bestseller, i princìpi e le verità rivelate.
Datemi numeri e la vita è interessante.
Datemi notizie e pensieri e io mi squaglio.
Ognuno ha il suo campo.
Vero che, con le guerre in corso, gli attacchi terroristici, scontri e quant’altro anch’io avrei dovuto iniziare a sviluppare opinioni e ragionamenti almeno di sociologia.
Però.
Ecco.
Come dire? Io sono matematica e adoro la matematica. Ho la testa da matematica e i pensieri da matematica. La semplicità dell’uno più uno fa due…. Impareggiabile.

‘Acc. Meglio che vada. Tanto in anticipo e poi arrivare in ritardo… Solo io posso.’
Pagai e mi scapicollai alla scuola. Perfetto, solo un minuto di ritardo.
Sede a pianterreno, portone in vetro trasparente, interni che si ammiravano dall’esterno, arredati con mobili di design, o almeno così sembravano.
Suonai.
La serratura scattò, la segretaria della scuola si affacciò alla porta della sua stanza e mi indirizzò all’aula: «Prego, in fondo al corridoio stanza a sinistra.»
Facile e bello. Lungo un corridoio molto luminoso per le vetrate ad arco.
Il cicaleccio mi fece capire che erano presenti già altre persone.
La stanza grande, con sedie e tavoli da riunione era accogliente, moderna, razionale e affollata.
Mi ci trovai subito bene.
Al tavolo davanti a me vidi un posto libero tra una ragazza di colore e una donna anziana e lì mi accomodai.
Guardai due volte l’anziana per essere sicura di non aver sbagliato. Decisamente anziana.
Mi sedetti e così potei osservare la scrivania di fronte piena di attrezzature per la lezione e il Professore alto, magro, vanesio e dall’abbigliamento ricercato e attillato.
A pelle non mi piacque.
Quel professore mi stonava. Mi stonava come matematico, informatico e commercialista.
Anzi, mi stonava e basta in ogni campo cercassi di piazzarlo.
Nulla di grave, comunque. A me non interessavano molto i segnali.
M’interessava solo fosse capace nella sua materia e che potessi imparare da lui.
Il cicaleccio era molto rumoroso, comunque mi girai e feci conoscenza con le mie vicine di tavolo, scoprendo che la ragazza di colore si chiamava Angelica e l’anziana Eva.
Da loro mi giunsero tranquillizzanti segnali e buone sensazioni.
Dopo un po’ il Prof decise di iniziare. Tutti tacquero e lui si presentò: «Buongiorno. Sono Luigi Corti. Ci vedremo oggi e dopodomani per le 16 ore di lezione del modulo ‘Trattamento delle operazioni fiscali e previdenziali’. Con i miei colleghi seguirete gli altri moduli per cinque giornate di formazione. Io sono un formatore di professione, collaboro spesso con le scuole della zona, ma anche con le agenzie per il lavoro. Ho due lauree, una in statistica e una in economia e commercio. Abito nella zona di Vicenza e ci metto un’ora e mezza ad arrivare qui a fare lezione a voi.»
Peccato. Vocina stridula, tono da deità disturbata.
Essere superiore che si degna di scendere tra poveri mortali.
«Sono italiano da generazioni e generazioni. Vengo da una famiglia di imprenditori. I miei nonni, i miei genitori, i miei fratelli hanno tutti imprese di scarpe. Io ho scelto un percorso differente. Dopo le lauree sono entrato nell’amministrazione pubblica e sono diventato dirigente di peso. Dopo vent’anni mi sono licenziato e da allora ho la mia partita iva professionale per la formazione.»
Sorriso plastificato a trentadue denti.
Mi piaceva sempre meno.
«Adesso farete voi un giro di presentazioni con interventi veloci, mi raccomando, spiegandomi il vostro percorso di studi, i vostri campi di lavoro e il perché siete qui per fare questo corso, in modo che io capisca qual è il vostro livello nelle materie che dovrò spiegarvi.»
Alzò gli occhi, si guardò attorno e, tacchete! Mi puntò l’indice addosso. «Inizia tu. Possiamo no? Darci del tu, che tutto è più semplice? Giusto?»
«Sì, certo. Diamoci del tu. Sono Carla Ballini, abito a Rovolon. Ho fatto ragioneria, sono laureata in economia, ho un master in marketing e lavoro presso la Pittamen srl, ufficio contabile, da sei anni. Sono qui per avere aggiornamenti in materia fiscale e dichiarazione dei redditi, nonché sulle nuove regole per la fatturazione elettronica.»
«Grazie Carla. Sei del mestiere, quindi. Per te sarà facile. Prego la parola te, adesso» disse indicando l’anziana accanto a me.
«Mi chiamo Eva Rossi. Ho 64 anni. Sono nata ad Alleghe, mi sono trasferita a Padova per la laurea e mi son poi fermata a vivere qui. Ho frequentato il classico. Ho una laurea in Filosofia. Negli anni ho sempre lavorato in uffici amministrativi imparando direttamente sui gestionali, senza basi economiche teoriche. Sono stata licenziata da poco e ho deciso di partecipare a questo corso di formazione e aggiornamento per raggiungere maggiori competenze. Cioè vorrei conoscere più approfonditamente la materia in modo da poter trovare un nuovo lavoro, perché potrò andare in pensione solo a partire dal 2028.»
«Ah, beh. Sicuramente alla tua età sarà molto dura. Con la tua preparazione, poi! Trovare un altro lavoro, dico. Le aziende, come so per esperienza non investono su persone anziane come te. Se poi devono anche fare formazione… quasi impossibile. Lo so perché io lavoro anche nelle agenzie per il lavoro, come ho detto prima. Sono pratico quindi delle richieste delle aziende. So cosa vogliono! E tu non sei tra i loro desideri. Dico la verità, io!»
Mi sentii a disagio per quella risposta cruda e acida. Guardai l’anziana che aveva smesso di sorridere e aveva abbassato gli occhi facendo finta di prendere appunti.
Inaspettatamente rialzò il volto e dichiarò: «Certo, lo so. Difficile. Ogni cambiamento lo è. Appunto per questo ho scelto una scuola come questa che promette anche un tirocinio aziendale, no? E comunque ho diritto al lavoro data la legislazione sulle pensioni che abbiamo.»
Beh, aveva segnato il suo punto.
Io non sarei di certo intervenuta per darle man forte. Non erano fatti miei.
Il professore già aveva rivolto la sua attenzione al successivo.
Arturo, 35 anni di Arzignano, iniziato laurea in marketing ma non portata a termine.
Pauline, albanese, di 32 anni, mamma di tre figli, laureata in economia nel suo paese. Da tre anni in Italia, cercava di rientrare nel mondo del lavoro. E via via tutti gli altri.
Eravamo in nove. Scoprii che la ragazza di colore seduta accanto a me aveva 34 anni, era Brasiliana e aveva una bimba di tre anni.
Per non fissare troppo le persone feci uno specchietto:
2 donne albanesi
1 donna rumena
1 donna anziana
1 donna brasiliana
1 io
3 uomini: due napoletani e uno veneto.
Tante culture e tante storie, ognuna particolare e curiosa.
Tutti, a parte l’anziana, avevano frequentato ragioneria o altre scuole di economia.
Lei spiccava, mosca bianca, con la sua filosofia. Mi chiesi oziosamente cosa l’avesse portata alla decisione di deviare, di cambiare così tanto, di stravolgere la sua vita a tal punto. M’incuriosiva. M’incuriosiva lei, la sua struttura fisica, il suo tatuaggio incomprensibile ma ben visibile sull’avambraccio destro.
Risuonò un silenzio imbarazzato dopo il commento dell’anziana.
Un po’ di trambusto, sedie smosse per stare più comodi.
Poi il professore accese lo schermo e iniziò a esporre la sua lezione con la solita sequenza di slides.
Dimenticai i miei compagni di viaggio e mi concentrai su quanto diceva e faceva vedere. Accorgendomi dopo poco che riusciva a rendere noiosa la materia anche per un’amante del bilancio come me.
Le mie aspettative calarono all’improvviso e mi sentii sconfortata.
Va beh, pazienza. Non sempre si possono incontrare insegnanti veramente capaci.
Ritornai a concentrarmi; ma, senza volerlo, la mia attenzione si allentò e la mente iniziò a girovagare per la classe, fissando volti attenti, guardando fuori dalla finestra il paesaggio piovoso, e iniziando a pensare ai fatti miei.
Per questo, forse, ancor più mi sorprese la voce dell’insegnante e la sua perentoria affermazione: «…Perché io non sopporto i napoletani…»
Ma lo aveva detto veramente? O era una mia allucinazione da noia?
Lui ribadì: «Non mi sento affatto vicino ai napoletani perché non pagano le tasse. Mi sento più vicino agli austriaci o agli svizzeri.»
Vista la mia distrazione non riuscivo a riconnettere il nesso logico di ragionamenti (se mai ce ne fossero stati) che lo avevano portato a quell’affermazione. Comunque mi sembrò un’opinione del secolo precedente ed espressa in luogo non confacente, vista anche la presenza di due ragazzi napoletani.
Mi sentii in imbarazzo e nuovamente a disagio.
L’anziana se ne uscì con molta tranquillità: «Beh noi italiani abbiamo un detto molto famoso: ‘Fatta la legge trovato l’inganno’ e lo applichiamo tutti, potendo. E poi abbiamo molte culture che convivono sul territorio. Io credo che vadano tutte rispettate.» sorridendo con garbo e grazia.
Ecco. Avrei potuto dirlo anch’io. Ma lei era filosofa, le era uscito meglio.
Il silenzio nell’aula era perfetto. I due ragazzi napoletani guardavano il soffitto.
Il professore continuò come nulla fosse, ma lanciando un’occhiataccia all’anziana.
Che strana situazione.
Non mi piaceva essere messa in mezzo e per di più in discussioni che non riguardassero i numeri.

I numeri son numeri. Non ci sono punti di vista. O meglio i numeri si gestiscono dal punto di vista scientifico, fisico, civilistico, finanziario, quantistico, statistico ecc. ecc. ma non cambia il loro modo di comportarsi. Aiutano a raggiungere risultati, a comprendere fenomeni…

Le idee di questi due cambiavano i modi di approcciare gli altri e per me cominciava ad essere un problema.
Comunque la lezione riprese e il professore si concentrò sugli adempimenti varati con l’ultima legge finanziaria, criticando il governo. le sue scelte, le sue leggi in modo fastidioso e pedante, ma riuscii a scoprire alcune cose che non avevo recepito prima.
Già, variazioni di percentuali, per bilancio finanziario soprattutto.
Chiaro comunque risultava che: «La paura dello stato Italiano che le persone non versino quanto dovuto ha montato una macchina stritolante ed estremamente invasiva nella vita di ogni cittadino. Ancor più adesso con la fatturazione elettronica, sistema che permette un grandissimo controllo a distanza e, in pratica, quotidiano delle aziende, dei loro pagamento IVA e tasse. Altro che grande fratello! Nessuno se ne rende conto finché non comincia ad avere a che fare con l’economia e il bilancio aziendale, o qualche modello per le tasse. Nessuno capisce davvero quanto lo stato sia asfissiante e in quanti modi possa correggere il tiro e tarpare nel modo più veloce possibile ogni interpretazione fantasiosa delle regole che ha emanato.»
In realtà potevo anche concordare con il Prof.
Però a me non è che me ne fregasse molto.
Una dipendente nullatenente.
Anche il fisco mi osservasse, che mi cambiava?
«Lo stato preme spasmodicamente per paura di perdere introiti e per paura di infiltrazioni mafiose. Il problema è proprio lo spirito degli italiani: ‘Fatta la legge trovato l’inganno’ e ogni regola emessa per stringere la vite viene utilizzata contro il sistema per allentare le maglie» continuò citando l’anziana.
Anche questo era affascinante, indubbiamente.
Mi tornarono in mente le riunioni periodiche in azienda: io che spiegavo cosa, come e perché si potevano o non si potevano fare alcune cose, dedurre qualcosa, rendere deducibile qualcosa, e gli altri del CDA che s’intestardivano ad inventare le peggio cose per aggirare le norme, per pagare meno e sempre meno allo stato inviso.
Però mi ero resa conto nel tempo che non era voglia di scorrettezza o voglia di criminalità, semplicemente un atteggiamento di sfida. Come dicessero: ‘Va bene. Tu mi tieni il tacco sulla giugulare e io respiro lo stesso e ti frego l’aria con gli stessi legacci che mi hai costretto ad indossare’.
Una questione di sfida, insomma, solo di sfida per dimostrare di essere liberi, comunque.
Nonostante il fisco.
Continuavo a pensare che, però, a me tutti questi argomenti non interessavano se non marginalmente e solo in presenza del mio capo, al quale ovviamente dovevo obbedienza.
A me interessavano i calcoli, le cifre, i conti.
Ripresi ad ascoltare il professore che in quel momento decise di uscirsene con un’altra delle sue.
«E non capisco perché gli Albanesi debbano continuare a venir tutti qua, anche se la loro situazione economica è molto migliorata e stanno meglio dei paesi loro confinante, anche se con Orban…»
Rimanemmo un po’ basiti: Orban? Che c’entrava con l’Albania? A me non sembrava che… Non ero però un’esperta…
Una delle donne albanesi intervenne seccata a corregge il professore che si mise a ridere e a prenderla in giro dicendo che aveva la coda di paglia.
Onestamente non mi piacque la situazione.
Sembrava ovvio che lui stesse stuzzicando in malo modo, esprimendo opinioni inopportune, tutte le diverse etnie, età e sensibilità del gruppo.
Comunque non ritenni fossero affari miei e mi assentai.
Il battibecco tra la ragazza albanese e il prof salì di tono e di livello.
Gli altri chiacchieravano a voce alta, sempre più alta, per non essere coinvolti.
Che peccato.
Comunque rimaneva solo un altro giorno da sopportare, poi ci sarebbero stati altri docenti, per fortuna.
Incrociai lo sguardo dell’anziana. Limpido, comprensivo, ammiccante e beh, sì, da ragazzina vispa.
Le guardai il tatuaggio che improvvisamente mi apparve chiaro: ‘Non tradire i sogni’.
Giusto. Concordai. Non tradire i sogni.
Così mi misi in solitaria a svolgere l’esercizio sulla creazione di un piccolo bilancio.
Numeri, numeri, numeri miei!!!! Uno più uno sempre due!
Sorrisi tra me e mi allontanai dal mondo, delle opinioni e delle idee.
Eppure, un tarlo aveva iniziato a rodere.

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