Hermann Melville e il suo ‘Bartley lo scrivano‘. Un racconto della fine dell’ottocento che parla di alienazione del lavoro. Dell’uomo macchina assunto in uno studio legale per ricopiare e ricopiare documenti. Bartley non fa altro che copiare testi tutto il giorno. L’avvocato, la voce narrante del racconto, dapprima è contento di tanta dedizione, ma comincia a sospettare che non tutto sia proprio a posto quando inizia a chiedere al protagonista di svolgere qualche altra mansione, per esempio correggere un testo e si sente rispondere con un pacato: “Preferirei di no”.
Piano piano i “preferirei di no” diventano costanti e Bartley si riduce addirittura a vivere in ufficio, nascosto da un paravento. L’avvocato non riesce a farsi valere, bloccato da quella pacata depressione senza fine. Per liberarsi del suo dipendente è costretto a trasferire l’ufficio, Bartley si rifiuta di spostarsi e i nuovi affittuari lo fanno portare via dalla polizia. In carcere Bartley si lascerà andare alla totale inedia. Melville ha creato un personaggio che incarna la resistenza passiva di un uomo esaurito e depresso da un lavoro che gli ha fatto perdere l’anima.
Ci sono giornate in cui mi immedesimo in Bartley.
Quanto vidi quella mattina mi convinse che lo scrivano era vittima di un disordine innato e incurabile. Avrei forse potuto soccorrere il corpo, ma non era il corpo a dolergli; era la sua anima che soffriva, e non potevo raggiungere la sua anima. Lasciai cadere il proposito di andare alla chiesa della Santissima Trinità quel mattino. Mi sentivo in qualche modo indegno dopo le cose che avevo visto. Mi incamminai verso casa pensando a cosa avrei fatto con Bartleby. Alla.fine mi risolsi su quanto segue: il mattino dopo gli avrei rivolto alcune pacate domande sul suo passato, ecc. e, se avesse rifiutato di rispondere in modo aperto e senza riserve (presumevo che avrebbe preferito di no), gli avrei allora dato una banconota da venti dollari oltre a quanto già eventualmente gli dovevo, dicendogli che i suoi servizi non erano più richiesti, ma che, se in qualunque altro modo avessi potuto aiutarlo, sarei stato felice di adoperarmi in tal senso; soprattutto se avesse desiderato ritornare là dove era nato, non importa dove fosse, avrei volentieri contribuito alle spese. Inoltre, se, una volta arrivato a casa, in un momento qualsiasi si fosse trovato bisognoso di aiuto, una sua lettera avrebbe certamente avuto risposta. Giunse il mattino successivo. «Bartleby», dissi rivolgendomi gentilmente a lui dietro il paravento. Nessuna risposta. «Bartleby», dissi in tono ancora più gentile, «venga qui. Non le chiederò di fare nulla che lei preferisca non fare… desidero soltanto parlarle». A queste parole silenziosamente scivolò fuori. «Vuole dirmi, Bartleby, dove è nato?» «Preferirei di no». «Non vuole raccontarmi niente di sé?» «Preferirei di no».
Photo: www.stampatipografica.it
kasabake
La tua è una nota leggera, come una carezza o come una stretta lieve che abbandona il nostro braccio dopo un incontro amichevole e fraterno, che scorrendo via nel salutarci, senza alcuna traccia di seduzione o appiccicosa sensualità, si limita a temporeggiare nel contatto che fu solo di vicinanza.
E’ una sensazione rassicurante che ho spesso quando leggo i tuoi brevi articoli e maggiormente quando risvegliano echi di piaceri letterari già provati.
Di “Bartleby” conservo con amore la bella edizione di Franco Maria Ricci, vicino a quella de “L’Avvoltoio” di Kafka, nella medesima collana della Biblioteca di Babele.
gemmapiccin
Ti ringrazio per quello che hai scritto. Mi fa molto piacere che tu abbia avuto queste sensazioni leggendo i miei articoli perché è proprio ciò che volevo trasmettere alle persone che li leggono. Uno spunto, un tocco lieve sul braccio per poter aprire mondi.
Credo sia importante condividere ciò che si legge. Perché possiamo trovare una compagnia nelle persone che hanno letto lo stesso libro, lo stesso racconto, creando un punto d’incontro che permette di condividere le emozioni.
kasabake
Sottoscrivo ogni riga, buon proseguimento!
gemmapiccin
Grazie, anche a te!
kasabake
La tua è una nota leggera, come una carezza o come una stretta lieve che abbandona il nostro braccio dopo un incontro amichevole e fraterno, che scorrendo via nel salutarci, senza alcuna traccia di seduzione o appiccicosa sensualità, si limita a temporeggiare nel contatto che fu solo di vicinanza.
E’ una sensazione rassicurante che ho spesso quando leggo i tuoi brevi articoli e maggiormente quando risvegliano echi di piaceri letterari già provati.
Di “Bartleby” conservo con amore la bella edizione di Franco Maria Ricci, vicino a quella de “L’Avvoltoio” di Kafka, nella medesima collana della Biblioteca di Babele.
gemmapiccin
Ti ringrazio per quello che hai scritto. Mi fa molto piacere che tu abbia avuto queste sensazioni leggendo i miei articoli perché è proprio ciò che volevo trasmettere alle persone che li leggono. Uno spunto, un tocco lieve sul braccio per poter aprire mondi.
Credo sia importante condividere ciò che si legge. Perché possiamo trovare una compagnia nelle persone che hanno letto lo stesso libro, lo stesso racconto, creando un punto d’incontro che permette di condividere le emozioni.
kasabake
Sottoscrivo ogni riga, buon proseguimento!
gemmapiccin
Grazie, anche a te!