Fulvio è indispettito. Da giorni per la verità. Anche quell’anno gli tocca partire a seguito della mamma e dei fratelli e andare in vacanza in montagna. In uno sperduto postaccio in mezzo alle rocce scoscese, in un paesetto dove non capita mai nulla e non c’è nemmeno una ragazza decente da guardare.
Sua madre non gli aveva permesso partire con la famiglia del suo amico Giuseppe che andava a passare l’estate al mare, in un “villaggio fantastico, dove si balla tutte le sere e dove possiamo trovare tutte le ragazze del mondo. Anzi tutte le più splendide ragazze del mondo” così glielo aveva descritto Giuseppe. Continua a leggere
Io Scrivo
Questa sezione è dedicata a brani di vario genere che ho scritto o scrivo. Viene aggiornata a cadenza settimanale.
Noi, ragazze nella seconda metà del ‘900.
«Zia Sara! Ma quanti merletti e pizzi hai in questo armadio!» mi grida Filippa dal corridoio, dove sta curiosando nell’armadio guardaroba bianco ‘milleante’, evidentemente.
Mia nipote dodicenne è parcheggiata per un po’ da me mentre madre e padre, da bravi separati, nella mia taverna, sistemano i turni per andare a prendere la figlia a scuola, decidono quale sabato deve stare con chi e dove.
Il chiasso che fanno in queste occasioni è deprimente. Soprattutto per Filippa, che è una ragazzina sveglia e capisce ben oltre le parole. Continua a leggere
La nebbia
«Incredibile! Ammettilo che ti sei perso e smettiamola di prenderci in giro!»
«Ok, mi sono perso. Quando mi hai detto: “prendiamo la mia macchina che è più grande e possiamo caricare meglio” non mi hai avvisato che non hai il navigatore!»
«Non mi piace il navigatore, non voglio qualcuno che mi dica gira di qua e gira di là e poi magari mi ritrovo in una stradina talmente stretta che devo fare retromarcia per non strisciare la macchina. Ho le cartine geografiche.» Continua a leggere
Loriana
Camminava, come al solito, con il viso affondato tra le pagine del libro. 1Q84 di Haruki Murakami, in quell’occasione, e non fece attenzione. Sbatté con foga contro l’uomo che, distratto da pensieri e problemi, camminava veloce sul marciapiede senza accorgersi di lei.
La forza dell’urto delle disattenzioni li fece cadere entrambi seduti a terra con le gambe larghe, come bambini sorpresi. E come bambini, risero entrambi riconoscendosi dopo la prima occhiataccia rabbiosa: «Beh, Loriana, sempre e solo tu che cammini nel mondo mentre leggi le favole!» Continua a leggere
L’Aquila bianca
Domenica 11 gennaio Daria rientrò tardi. Ritemprata da una lunga, solitaria e primitiva settimana di ferie nella vecchia bicocca tra i monti, ereditata dalla nonna due anni prima.
La piccola e isolata baita resisteva all’incuria al confine del bosco di pini, abeti e larici, accoccolata alle pendici della conca, sulla riva sinistra del torrentello a poca distanza dalla foce. Continua a leggere
Un’amica
Di solito arrivavo a casa sua il martedì verso metà mattina, era il suo giorno libero, quello nel quale lo studio medico dove lavorava era chiuso.
Mi piaceva passarci un’ora del mio tempo chiacchierando del più e del meno o dei problemi che mi sembravano in quel momento insormontabili, o delle nuove strategie che avevo pensato di adottare per vivere una vita migliore.
Ci eravamo conosciute in una tiepida giornata di fine settembre, quando ero andata allo studio a ritirare una ricetta per un’anziana vicina, a letto con l’influenza. Un limpido giorno pieno di foglie gialle soffiate da un vento dal retrogusto d’uva, che mi ricordava i tempi passati da bambina in campagna dai nonni.
Lei mi parve subito una persona accogliente e, in quel mattino pieno di rari malati, chiacchierammo a lungo.
Io avevo tempo, ero stata licenziata da poco.
Nei giorni successivi, come accade spesso, ci incontrammo ancora un paio di volte: sulla strada di casa e in una pasticceria molto graziosa e profumata di crema, burro e vaniglia vicina a dove abitavo. Senza forzature l’amicizia proseguì e ci scambiammo i numeri di telefono e le visite per il the o il caffè, il martedì a metà mattina.
Quando andavo a casa sua mi faceva accomodare nel salotto. Una stanza quadrata con una porta che dava sul giardino curato, dall’erba corta ed eguale. In primavera di uno spettacolare verde chiaro, fresco e fragile.
Non le ho mai chiesto che tipo d’erba avesse seminato.
Il salotto era arredato in modo essenziale: con due poltrone scomode, a dondolo, dalla struttura in legno e con seduta e schienale di tela marrone. Ricordavano le sdraio da mare di una volta.
Mi ci sedevo sempre in bordo e un po’ di lato, a disagio di fronte alla prospettiva della posa semi-sdraiata che avrei dovuto assumere se avessi voluto poggiare le spalle. Non mi sarebbe piaciuto rimanere così, a pancia all’aria…
Un basso tavolino di legno scuro, un grande cesto pieno di cuscini per sedersi per terra, una libreria bianca e piena di libri, un tappeto multicolore a geometrie viola, verdi e gialle usurato in più punti dai giochi bimbi e dal tempo, una pianta, alta, in vaso; non c’era altro.
Lei aveva un rapporto migliore del mio con la poltrona. Si accoccolava, come una gatta beata e sazia, s’acciambellava con le gambe sotto il sedere e il busto affondato nello schienale.
Sul tavolino era poggiato un vassoio di acciaio cromato con piccoli disegni. Intarsi in ottone lucidato. Sopra, il servizio da the. Tutto bianco, liscio e senza fronzoli.
M’incoraggiava con un gesto ampio della mano sinistra a servirmi, mentre chiacchieravamo.
Il the era caldo e buono.
Lei lo sorbiva lentamente, tra una frase e l’altra, come si stesse prendendo cura di sé, come stesse bevendo una pozione curativa.
A volte, mentre mi ascoltava, le saliva uno sbadiglio. Forse s’era alzata da poco o forse era stanca della giornata precedente o forse s’annoiava ad ascoltarmi.
Non voleva offendermi e lo nascondeva sempre.
Tirando i tratti del volto e spalancando gli occhi bruni; irrigidendo i muscoli del viso tanto da sembrare l’immagine ieratica della dea gatta.
Rimaneva sospesa, senza fiato, per un paio di secondi e poi espirava e si rilassava e mi ascoltava ancora. Non le ho mai chiesto perché le salissero quegli sbadigli.
Altre volte mi raccontava, mi spiegava, con quel suo stare da gatta sorniona, con il poco gesticolare, avvolta in una sciarpa, in uno scialle, in un fazzolettone colorato.
Sorrideva poche volte.
Non ricordo il motivo per cui non c’incontrammo più.
Forse la persi come a volte si perdono gli acquerelli, stemperandosi un colore nell’altro…
Era da molto che anche il ricordo di lei non tornava.
Sarà questa neve fitta e il vento che scuote e sfronda, che spinge e rotola, che sposta, s’allontana e s’avvicina. Sarà il freddo che nei martedì a metà mattina si allontanava poco a poco mentre sorbivo il the in compagnia di chiacchiere da donne che risolvono i problemi del mondo.
Di quel mondo di cui non fanno realmente parte e che guardano sempre a modo loro.
Sarà la solitudine dello stare da sola con te.
O la nostalgia di momenti in cui ogni cosa sembrava possibile.
Quel sottile filo di paura
Di soprassalto sono sveglia. Nel buio ascolto.
Ci sei. Ti sento respirare, anche se poco perché son più forti i battiti furiosi del cuore spaventato di non trovarti.
Mi rigiro un po’, senza sobbalzi, per non destare il tuo sonno, così leggero negli ultimi tempi.
La paura rientra nel controllo e posso ancora assopirmi. Continua a leggere
Chi sei?
Ci sono periodi che mi sento maltrattato dalla vita, come un turista sperduto e spaesato nella folla che assiste al palio di Siena o all’Encierro durante la Fiesta di San Firmino.
Sono sospinto avanti o all’indietro. Verso il lato destro o quello sinistro. Spaventato. Inconsapevole. Senza poter opporre resistenza. Travolto. Intontito. Continua a leggere
Il passero
Che giornata!
Pioggia ghiacciata, neve, nebbia che non lascia vedere le cime già innevate delle montagne.
Alle sette di mattina non riesco a vedere quasi nulla, al di la del parabrezza.
Ma le nebbie non dovevano infestare la bassa o i castelli dei fantasmi? Continua a leggere
Caterina
Caterina camminava a fianco della madre che avanzava facendo risuonare i tacchi alti e signorili.
Era infelice e profondamente scocciata.
Anche quella domenica aveva dovuto alzarsi all’alba, stessa ora di quando andava a scuola.
Aveva dovuto farsi un lungo bagno, lavarsi bene i capelli e avvolgerli in un grande asciugamano che la faceva sembrare esotica e goffa, mentre si vestiva tenendolo in equilibrio sulla testa. Continua a leggere