Questa settimana scritti di genere vario. Una mente curiosa non smette mai di formulare domande e cercare risposte. Razionali o meno che siano.
Lu Xun (che è giustamente considerato il più grande scrittore della Cina moderna, morì nel 1936 ed ebbe – per inciso – una forte antipatia verso Confucio, per ragioni che illustrerò brevemente tra poco) osservò che quando un genio davvero originale fa la sua comparsa nel mondo, gli uomini si affrettano a sbarazzarsene. Per raggiungere lo scopo hanno due metodi. Il primo è la soppressione: lo isolano, lo riducono alla fame, lo circondano di silenzio, lo seppelliscono vivo. In caso d’insuccesso, adottano il secondo metodo (che è molto più radicale e obbrobrioso): l’esaltazione, lo mettono su un piedistallo e lo trasformano in un dio. (L’ironia, ovviamente, sta nel fatto che lo stesso Lu Xun fu sottoposto a entrambi i trattamenti: mentre era vivo, i commissari comunisti lo angariarono; una volta moro, lo venerarono come la loro icona più sacra… ma questa è un’altra storia).
Incipit di I detti di Confucio
A cura di Simon Leys
Questa edizione de I detti di Confucio firmata da Pierre Ryckmans con lo pseudonimo di Simon Leys, propone una riflessione sulla traduzione: è da considerarsi come l’opera autonoma di uno scrittore? Le opinioni sono svariate. Io credo, onestamente, che non possa essere così. Ma accetto suggerimenti e opinioni. Comunque, al di là della considerazione, I detti di Confucio appartiene alla letteratura divulgativa del pensiero orientale che sta ottenendo un pubblico sempre più vasto in questo occidente un po’ sperduto e che ha perso alcuni riferimenti certi. Senza sminuire il valore di ogni pensiero e filosofia, per me tutti degni di essere meditati, a volte penso che basterebbe rileggere con calma e attenzione i nostri classici greci, latini e italiani per ritrovare massime filosofiche molto simili. Tutte infatti nascono dal ragionamento sui limiti umani e dal buon senso, credo.