Il libro che vi invito a leggere oggi è di Robert Walser, poeta e scrittore svizzero: ‘I fratelli Tanner‘ del 1907. Uno dei primi libri di un autore che m’incuriosisce e che in qualche modo avvicino a Van Gogh.
La genialità porta alla follia o la follia produce genialità?
Walser, infatti, fu ricoverato per attacchi psicogeni e morì, suicida, nel sanatorio di Herisau, mentre stava facendo una passeggiata in un campo innevato, passeggiata che cinquant’anni prima aveva descritto, con precisione, nel suo ‘I fratelli Tanner‘.
Il tema del libro è la fratellanza, ma la narrazione indaga a fondo l’animo umano. Il suo personaggio principale, Simon, lavora per vivere, non vive per lavorare. Cioè lavora quel tanto che gli permette di tirare avanti. Non ha ambizioni e non vuole diventare qualcuno, quasi un fannullone (nella migliore delle accezioni) pieno di ironia e privo del risentimento per la povertà, per esempio, di alcuni dei personaggi di Dostoevskij. Pieno di gratitudine per la vita che gli permette di essere libero come l’aria e di non essere debitore a nessuno.
Kafka, che fu uno dei primi entusiasti lettori di Walser descrisse Simon così: «Corre dappertutto, felice sino alla punta dei capelli, e alla fine non diventa nulla, se non una gioia del lettore».
Walser, come il suo Simon, tentò sempre di rimanere in disparte, di non farsi notare, nonostante le importanti conoscenze nel mondo letterario: dal critico Joseph Vistor Wildmann, che per primo fece pubblicare alcune poesie del ventenne Walser nel Bund di Berna, a Franz Blei che lo introdusse nell’ambiente Art Nouveau o Hermann Hesse che nel 1917 recensì ‘Poetenleben‘.
Walser desiderava la quiete e l’anonimato anche se amava scrivere e per farlo, cercando di sottrarre agli estranei la capacità interpretativa, inventò e utilizzò una specie di codice: il metodo della matita (vedi foto).
L’ultimo giorno Hedwing gli disse:
«Ora te ne vai proprio, ora è proprio stabilito. Addio. Vienimi vicino e dammi la mano. Forse fra non molto mi getterò nelle braccia di un uomo che non mi merita. Avrò giocato la mia vita. Sarò molto rispettata. Si dirà: è una donna solida. Davvero non ho il desiderio di avere più tue notizie. Cerca di diventare una brava persona. Prendi parte alla vita pubblica, fa’ che si parli di te, mi farebbe piacere sentir parlare di te dalla gente. Oppure lasciarti vivere come puoi e sai, rimani nell’oscurità, lotta nell’oscurità con i molti giorni che ancora verranno. Non ti credo capace mai di debolezze. Cosa devo ancora dire per augurarti fortuna nel tuo viaggio? Su, ringrazia. Ehi, tu! Non pensi a ringraziarmi per averti concesso di stare qui? No, lascia stare, non sarebbe nel tuo stile. Tu non sei capace di fare un inchino e di dire che proprio non sai come ringraziare. Il tuo comportamento è stato la tua gratitudine. Con te ho cacciato e rincorso il tempo tanto da fargli venire paura di noi. Veramente non hai più cose di quante entrino in questa valigetta?»