Jasper Fforde a diciotto anni lascia gli studi per immergersi nel mondo del cinema lavorando come super – tecnico della messa a fuoco e cameraman. Nel frattempo scrive il suo primo libro ‘Il caso Jane Eyre‘. Nel tentativo di farlo pubblicare colleziona ben settantasei lettere di rifiuto, finché Hodder & Stoughton non decide di scommettere sul mondo della protagonista: Thursday Next, 36 anni, Detective Letteraria.
La storia è ambientata in un 1985 poco realistico. Per esempio: i libri sono il bene più prezioso, il tempo è flessibile, il confine tra realtà e fantasia è valicabile e la guerra di Crimea non è mai finita e ha strappato a Thursday Next l’amato fratello Anton. Il padre di Next è, invece, un disertore della CronoGuardia e lui e figlia si possono incontrare solo a momenti. Lo zio Mycroft è uno scienziato che è riuscito a trovare il modo di entrare ed uscire, fisicamente, da un qualunque testo scritto, permettendo a Next di tuffarsi perfino nell’etichetta di un paio di jeans.
L’invenzione, però, cade nelle mani sbagliate e Next deve combattere duramente non solo in questo ‘Il caso Jane Eyre‘, ma anche in ‘Persi in un buon libro‘, ‘Il pozzo delle trame perdute‘, ‘C’è del marcio‘, ‘First Among Sequels’, ‘One of Our Thursdays is Missing‘ e ‘The Woman Who Died a Lot‘. Gli ultimi tre non sono ancora tradotti in italiano. L’autore ha annunciato la pubblicazione di un ‘Dark Reading Matter’, non ancora dato alle stampe.
Questo il preambolo essenziale alla serie.
Io l’adoro e l’ho divorata per poi rileggerla e leggerla ancora con calma. Quando le mie giornate non girano come vorrei, vado allo scaffale Next e mi leggo qualche capitolo a caso. Oserei definirlo un atto rigenerante. Amo le trovate farsesche, l’indagine che tiene sempre col fiato sospeso, amo il Dodo, amo il modo scapicollato con cui Fforde scrive.
Lo consiglio a chiunque voglia divertirsi e a chiunque voglia imparare a scrivere, perché Fforde è riuscito a creare un mondo concreto, reale e sostenibile seppur paradossale senza violare mai il patto di sospensione dell’incredulità.
Da ‘Il pozzo delle trame perdute‘:
Mi precipitai agli ascensori, mentre una forte sensazione di anomalia incombente mi faceva rizzare i capelli sulla testa. Premetti il pulsante ma non successe nulla; attraversai il corridoio e provai con l’altra fila di ascensori ma senza maggior successo. Stavo per correre verso le scale quando sentii un rumore. Era un gemito grave, lontano, diverso da qualsiasi altro gemito grave avessi mai udito o desiderassi udire di nuovo. Posai la testa nel sacco con le mani sudate, e anche se mi imponevo di restare calma, spinsi più volte il bottone dell’ascensore ed estrassi l’automatica al volo quando dalle profondità del corridoio vidi levarsi una sagoma. Volava vicino agli scaffali e aveva qualcosa del pipistrello, qualcosa della lucertola e qualcosa dell’avvoltoio. Ricoperta di pelo grigio a chiazze, indossava calzini a strisce e un panciotto dai colori vivaci e di dubbio gusto. Mi ero già imbattuta in un essere del genere, era un grammassita, e anche se era diverso dall’aggettivoro che avevo visto in ‘Grandi speranze’, evidentemente poteva essere altrettanto pericoloso. Non c’era da stupirsi che i residenti del Pozzo si fossero dileguati. Il grammassita mi sfrecciò accanto senza notarmi e sparì in un’eco di artiglieria distante.