Per chi volesse, invece, ‘raccontare qualcosa e, nello stesso tempo, […] non raccontare nulla’ imprescindibile diventa la lettura di ‘Il taglio del bosco‘ di Carlo Cassola. Un racconto lungo o un romanzo breve, dalla travagliata gestazione, uscito per la prima volta sulla rivista ‘Paragone-Letteratura’ nel dicembre del 1950 e ambientato negli anni 1938-39. Come spiegato dall’autore stesso, in questo testo racconta per narrare qualcosa di eccezionale, ma per descrivere la quotidianità sempre eguale che racchiude ognuno nella propria solitudine. Cinque uomini per cinque mesi tutti i giorni tagliano alberi nella maremma grossettana, con l’unico diversivo delle chiacchiere attorno al fuoco alla sera e le storie di Francesco, che assieme a Germano, il più giovane, Amedeo, Fiore e Guglielmo sono i protagonisti della narrazione.
La prosa è scarnificata, sobria ed essenziale aiuta a rendere l’atmosfera fuori dal tempo e fuori dallo spazio, quasi in sospensione, che Cassola voleva ottenere quando iniziò la stesura del racconto. In realtà con il passare del tempo Cassola fece di Guglielmo il protagonista. Descrivendolo incapace di trasmettere tutto il suo dolore per la moglie morta da poco.
Il Natale si avvicinava, e gli uomini si prepararono alla partenza. Poiché cadeva di sabato, avrebbero avuto due giorni a disposizione. Fiore però disse subito che non si sarebbe mosso.
Egli era cosiffatto, che nella macchia si trovava a suo agio meglio che a casa. Avrebbe dovuto nascere orso, diceva Amedeo. All’ultimo momento anche Guglielmo rinunciò a partire.
«Di’ a mia sorella che ho avuto paura di strapazzarmi col viaggio.Dille che mi dispiaceva lasciar solo Fiore.»
«Però», non poté trattenersi dal dirgli Amedeo, «se fosse stata viva tua moglie, ci saresti venuto, a casa.»
«S’intende» rispose Guglielmo.
«Alla moglie non si può far torto» concluse Amedeo
«Vallo a dire a Fiore.»
Amedeo si mise a ridere.
«Vedi invece com’è fatto Francesco», disse poi.«Lui non ha nessuno al mondo, tanto valeva che il Natale lo facesse qui».
Francesco, infatti, benché fosse di San Dalmazio, non aveva più parenti al paese. Abitava in due stanzette sopra la canonica e si faceva da mangiare da sé. Eppure sembrava che la solitudine non gli pesasse, e non aveva mai nemmeno un momento in cui tradisse la malinconia e lo sconforto.