(note a fine racconto)
«Lalla, toglile il ginocchio dalla gola, non vedi che sta soffocando?»
«Taci, Troia! IO, solo IO, comando te; e questa qui la deve smettere di essere com’è. Non la posso vedere. Mi dà il voltastomaco.»
Tolse, però, il ginocchio dalla mia gola.
Respirai di nuovo. A fatica.
Si stava avvicinando il prof di mate.
Veloce tornai in piedi.
Non so se provavo più rabbia o paura.
Mi faceva male deglutire. Mi resi conto che avrei potuto morire per davvero.
Il tempo non finì mai quel giorno.
Dovevo mettermi al riparo dalla Banda di Lalla. Stavano esagerando. Rischiavo troppo. Fanatismo, superstizioni, ignoranza che le accecavano.
Dovevo smetterla d’essere un bersaglio, una vittima e diventare forte. Più forte. Andare oltre.
Scendere così in basso da raggiungerle, travolgerle e fermarle per sempre.
Mi trascinai fuori da scuola sempre scivolando nell’ombra.
Arrivai dalla parrucchiera nel primo pomeriggio.
Mi guardò come al solito, con uno sguardo dispiaciuto, amorevole.
Glucosio puro.
Lo odiavo quello sguardo.
«Voglio quella parrucca.»
«Ma lo sai che costa…»
«Lo so.»
Poggiai sul banco il rotolino di banconote.
Sulla via di casa, chiamai il Vecchio.
Gli promisi che sarei andata a letto con lui.
In cambio, assicurò che mi avrebbe dato quello che volevo da tempo.
Il patto fu firmato nell’etere digitale.
«Quando devo passare?» cercai di procrastinare.
«Adesso.»
Dopo, vomitai.
Rimase l’atto più disgustoso della mia vita, ma non me ne vergognai mai. Non rimpiansi mai il mio gesto.
Rientrando, passai in una farmacia e comprai le lenti a contatto colorate.
La mattina dopo, prima di arrivare a scuola, dietro una siepe, indossai la parrucca e le lenti.
All’ingresso della scuola non trovai il tris delle idiote, la Banda di Lalla.
La speranza mi accompagnò per tutta la giornata.
In classe tutti mi guardavano di continuo.
Il mio atteggiamento a muro di cemento bloccava ogni domanda.
Il lunedì successivo, finalmente, la risoluzione del mio problema apparve in tutta la sua evidenza.
La bandina delle tre sciroccate arrivò in condizioni pietose: Lalla aveva una faccia tumefatta, gonfia, con la pelle spaccata in più punti e una gamba ingessata.
Le altre due, peggio ridotte.
Il Vecchio aveva mantenuto la sua promessa.
Le aspettai a metà corridoio ferma e tranquilla, camuffata, come aveva ordinato Lalla.
«Ciao Lalla. Visto che alla fine ho seguito il tuo consiglio e mi sono travestita da nera vera?»
«Sei comunque sempre disgustosa, perché io so come sei. Afro-albina di merda.»
Mi avvicinai tanto da sussurrarle all’orecchio: «Vedo che fatichi a parlare. E la cosa mi va a genio! Volevo dirtelo in faccia: l’ho pagato io. Ho pagato io per farti diventare così bella. Ah, e lo pagherò ogni volta che mi girerà. Il mio amico sarà felice di collaborare di nuovo.»
Lalla biascicò: «Seh, Ricevuto. Comunque fai più schifo conciata così.»
«Contenta che tu te ne sia accorta. Perché io sono una Afro-albina e lo sarò sempre. E non sarà una nera,
vera nera idiota come te, a farmi ancora male per questo, chiaro?»
Tolsi le lenti a contatto e liberai i miei occhi incolori.
Tolsi la parrucca e lasciai liberi i miei crespi riccioli chiari.
Lalla si allontanò.
Sapevo che la faccia le avrebbe fatto male per molto.
Vincere, perdere, pagare.
Sempre la stessa storia… Il diverso.
𝘗.𝘚: 𝘓𝘢 𝘱𝘦𝘳𝘴𝘦𝘤𝘶𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘥𝘦𝘨𝘭𝘪 𝘢𝘭𝘣𝘪𝘯𝘪 𝘢𝘧𝘳𝘪𝘤𝘢𝘯𝘪 𝘦̀ 𝘶𝘯 𝘧𝘦𝘯𝘰𝘮𝘦𝘯𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘴𝘪𝘴𝘵𝘦 𝘯𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘥𝘪𝘴𝘤𝘳𝘪𝘮𝘪𝘯𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦, 𝘮𝘶𝘵𝘪𝘭𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘦 𝘶𝘤𝘤𝘪𝘴𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘱𝘦𝘳𝘴𝘰𝘯𝘦 𝘢𝘧𝘧𝘦𝘵𝘵𝘦 𝘥𝘢 𝘢𝘭𝘣𝘪𝘯𝘪𝘴𝘮𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘷𝘪𝘷𝘰𝘯𝘰 𝘪𝘯 𝘈𝘧𝘳𝘪𝘤𝘢. 𝘎𝘭𝘪 𝘢𝘭𝘣𝘪𝘯𝘪 𝘢𝘧𝘳𝘪𝘤𝘢𝘯𝘪 𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘰𝘨𝘨𝘦𝘵𝘵𝘰 𝘥𝘪 𝘥𝘦𝘳𝘪𝘴𝘪𝘰𝘯𝘦, 𝘢𝘨𝘨𝘳𝘦𝘴𝘴𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘷𝘦𝘳𝘣𝘢𝘭𝘦 𝘦 𝘥𝘪𝘴𝘤𝘳𝘪𝘮𝘪𝘯𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘴𝘰𝘤𝘪𝘢𝘭𝘦 𝘦 𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘤𝘰𝘯𝘴𝘪𝘥𝘦𝘳𝘢𝘵𝘪 𝘥𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘧𝘢𝘮𝘪𝘨𝘭𝘪𝘢 𝘤𝘰𝘮𝘦 𝘶𝘯𝘢 𝘱𝘶𝘯𝘪𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘥𝘪𝘷𝘪𝘯𝘢. 𝘚𝘱𝘦𝘴𝘴𝘰 𝘪𝘭 𝘱𝘢𝘥𝘳𝘦 𝘢𝘣𝘣𝘢𝘯𝘥𝘰𝘯𝘢 𝘭𝘢 𝘮𝘰𝘨𝘭𝘪𝘦 𝘲𝘶𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘢𝘣𝘣𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘰𝘳𝘪𝘵𝘰 𝘶𝘯 𝘣𝘢𝘮𝘣𝘪𝘯𝘰 𝘢𝘧𝘧𝘦𝘵𝘵𝘰 𝘥𝘢 𝘢𝘭𝘣𝘪𝘯𝘪𝘴𝘮𝘰; 𝘢𝘭𝘵𝘳𝘦 𝘷𝘰𝘭𝘵𝘦 𝘦̀ 𝘭𝘢 𝘮𝘢𝘥𝘳𝘦 𝘴𝘵𝘦𝘴𝘴𝘢 𝘤𝘩𝘦, 𝘴𝘱𝘪𝘯𝘵𝘢 𝘥𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘱𝘢𝘶𝘳𝘢 𝘥𝘪 𝘱𝘰𝘳𝘵𝘢𝘳𝘦 𝘥𝘪𝘴𝘰𝘯𝘰𝘳𝘦 𝘦 𝘥𝘪𝘴𝘨𝘳𝘢𝘻𝘪𝘢 𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘧𝘢𝘮𝘪𝘨𝘭𝘪𝘢, 𝘢𝘣𝘣𝘢𝘯𝘥𝘰𝘯𝘢 𝘰 𝘶𝘤𝘤𝘪𝘥𝘦 𝘪𝘭 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘳𝘪𝘰 𝘧𝘪𝘨𝘭𝘪𝘰. 𝘌 𝘮𝘰𝘭𝘵𝘰 𝘢𝘭𝘵𝘳𝘰.