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Fila alla posta

Una marea di gente, oggi, in posta. Lo vedo subito, appena entrata. Prendo comunque il biglietto, che mi dice: ‘127’, la raccomandata deve portare la data di oggi e mi guardo attorno. Nessun posto libero in platea.
Tanti anziani occupano ogni seduta di fronte al grande palcoscenico dalle vetrate antisfondamento e osservano corrucciati la schiena dei protagonisti che sono già allo sportello.
Pazienza.
Mi tedierò stoicamente ritta sulla gamba destra, quella che oggi non mi fa male.
Colgo di sfuggita la mimica di un volto, che mi prende in contropiede.
La signora in terza fila, posto cinque ha arricciato il naso in un involontario e abituale movimento, come sentisse una puzza nauseante ma tentasse, per educazione, di non darlo a vedere.
Breve movimento che mi riporta indietro nel tempo, e mi fa tornare in mente i tratti campagnoli e pacchiani della mia vicina di casa. Anche lei tirava su il naso e scopriva i denti superiori come un cane che ringhia, infastidito. Proprio come la donna seduta in attesa.
Non ricordavo quel gesto, ben volentieri lasciato ad ammuffire nel fondo della memoria.
Adesso, però, è qui e dietro a lui tanti momenti collegati. La mia vicina! Com’era il suo nome? Mariele? Marina? No, Matilda. Giusto! Matilda. Mi metteva a disagio. Spesso teneva il portoncino appena socchiuso, e da lì osservava con un occhio curioso la vita del condominio.
Altrettanto spesso aspettava che io scivolassi da casa per andare a giocare, abbandonando i compiti, e mi bloccava.
Mi somministrava monologhi sulla cattiveria degli uomini. Uomini intesi come maschi della specie, avevo capito. Lei non era riuscita a sposare il suo principe azzurro e mi metteva in guardia: vogliono solo una cosa e se cedi non li vedi più.
Non la sopportavo.
Poi salmodiava sulla nostra superiorità di uomini bianchi e civilizzati e arricciava il naso in quel modo particolare al solo pensiero degli inferiori. Allora non solo m’infastidiva ma mi faceva sentire anche in colpa. Papà ci diceva sempre che tutti gli uomini sono uguali e che da tutti c’è da imparare. Lui aveva molti amici, di tutte le forme, razze e colori, come amava dire.
Io in quella scala semibuia, non riuscivo a fermare le parole di quella donna. Non riuscivo a dirle che ogni essere umano va rispettato ed è pari a tutti gli altri. Mi soverchiava, io ascoltavo i suoi sproloqui e mi sentivo incapace di difendere la verità di mio padre.
Fu un sollievo quando ci trasferimmo e non dovetti più incontrarla.
Guardo meglio la donna seduta lì, in attesa. Sembra assorta nei pensieri, quasi inconsapevole della gente attorno a lei. Forse ha avuto un ricordo amaro o forse un reflusso acido. Mi pare una tipetta tranquilla, non certo una fanatica della razza.
Per sicurezza mi sposto in fondo. Non si sa mai.

Comments(4)

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