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route_66

Oggi vi propongo un ‘caso letterario’ particolare: ‘In viaggio contromano‘ di Michael Zadoorian.
Perché caso letterario? Perché è uno dei pochi libri che continua a vendere grazie al solo passaparola dei librai, soprattutto quelli statunitensi (che sono tantissimi e hanno molti più clienti delle melanconiche librerie italiane distrutte dagli e-commers e dalle catene).
Una storia dolce, ma anche caparbia, di due ottantenni che decidono di viaggiare con il camper, il Leisure Seeker del 1978. Dimenticando chemio terapie e Alzheimer, Ella e John, tacitano i figli preoccupati e vivono le loro avventure lungo la famosissima Route 66 che attraversa l’America per rivedere luoghi già visitati con i figli piccoli (vedi Disneyland) e per nuove prospettive, di piccoli strappi alle regole imposte da medici e familiari. Una fuga dalla terribile quotidianità con spettro della morte per riaprire gli occhi sulla varietà e lo splendore della vita.

Incredibilmente, John molla la manovella [del cric] e mentre stiamo risalendo nell’abitacolo, un’auto ci supera rombando, la prima che incontriamo da quando siamo usciti dall’autostrada. Vedo la luce dei freni illuminarsi. È una vecchia Plymouth con la vernice scrostata sulle fiancate e sul baule. Si ferma a bordo strada, un centinaio di metri più avanti. Dopo un minuto, scende il guidatore, poi il passeggero, con un ferro in mano.
Vi dirò, non hanno il tipico aspetto del buon samaritano. Sembrano proprio dei banditi. Entrambi sulla trentina avanzata. L’autista ha i baffi, jeans attillati, polo marrone e capelli a cresta. Il tizio con la birra in mano è in jeans, maglietta e infradito di gomma. Ha la barba sfatta, i capelli di chi si è appena alzato dal letto.
«Ehi, voi!» grida il primo avvicinandosi. «Serve una mano?»
«No, grazie» rispondo con un sorriso. «Abbiamo appena chiamato l’Automobil Club».
«Ah. Okay» fa l’altro. «E quando arrivano?»
«Mah, una mezz’oretta». Ed è lì che mi accorgo di aver dato la risposta sbagliata
«Bene» dice il guidatore, estraendo un coltello dalla cintura.
«Oh Gesù» mormoro, guardando John, che non ha ancora capito cosa sta succedendo.
«Non abbiamo bisogno di aiuto» dice, poi si toglie il cappello, si asciuga il sudore dalla fronte con il polso e si rimette il cappello.
«Non siamo qui per aiutarvi» dichiara il passeggero con la birra e il ferro. Sarà l’accento, ma non sembra intelligentissimo.
John comincia a intuire. «E che diavolo» esclama, facendo un passo in avanti.
«John, stai attento».
Il guidatore gli punta contro il coltello. «Restate dove siete. Ci prendiamo i vostri soldi e ce ne andiamo. Non vogliamo farvi del male, anche se sarebbe molto facile. Signora, che bell’anello. Perché non se lo toglie?»
Il suo compagno, brandendo il ferro, si avvicina a John. «Portafogli».
«Vai a quel paese» risponde John.
Quello gli da un colpo nelle reni. «allora me lo prendo da solo» dice, allungandosi verso la tasca rigonfia dei pantaloni di John.
«John, fai quello che ti dicono» mormoro, porgendo l’anello al guidatore. «Stai buono».
«Adesso la borsa, signora. Dov’è?»
«Sul camper».
«Cazzo» dice l’altro tizio, armeggiando con i pantaloni di John. «Non riesco a tirarlo fuori. È enorme. Passami il coltello».
«Sì, è molto ingombrante» commento. «Prendo la borsa».
Mi guarda, socchiudendo gli occhi. «Si muova molto lentamente, signora».
«Non è che abbia grandi alternative, giovanotto».
Punto il bastone e mi avvio verso la portiera.
Li sento imprecare contro i pantaloni di John, poi lo strappo del tessuto. Non so se è la stanchezza, i farmaci, che mi scorrono nelle vene o il fatto che sono furibonda per aver dato la mia fede nuziale a quei mascalzoni, ma non ho dubbi su quel che devo fare.
Non sto nemmeno a pensarci.
Quando risbuco da dietro il camper, vedo che hanno tagliato una finestrella sui pantaloni di John. I due tizi se la ridono compiaciuti, finché non alzano gli occhi verso di me, che li tengo sotto tiro con la pistola.

 

 

Photo: gardinerfcu.org

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