Amo Hesse, un autore con il quale sono cresciuta e che rivisito ogni tanto. Oggi ho voglia di raccontare di ‘La cura‘, il testo pubblicato subito dopo ‘Siddharta‘, il successo mondiale che ha raccontato il viaggio verso l’illuminazione. Potremo dire che ‘La cura‘ è l’opposto, è la storia di un grande illuminato occidentale molto, anche troppo, sicuro di sé, che viene sgonfiato, riportato alla sua natura di comune mortale con ironia, attraverso piccoli fastidiosi incidenti quotidiani. L’ambientazione è quella passata di moda di una stazione termale.
Era appena balenata in me, chiara e fredda come la luce dell’alba, questa consapevolezza, convinzione, o decisione, la mia anima leggeva appena, chiaro e saldo, il monito: «Questa storia penosa dev’essere ben presto terminata e risolta», quando, subito, spuntarono in me le solite fantasie volgari che ogni nevrotico conosce benissimo nei momenti di particolare angoscia. Non c’erano che due vie, apparentemente, che potessero condur fuori da questa misera situazione e dovevo sceglierne una: o sopprimermi o venire a una spiegazione con l’olandese, prenderlo per il collo e sconfiggerlo. (Eccolo che tossiva un’altra volta con imponente energia). L’una e l’altra prospettiva era bella e risolutrice, anche se un tantino puerile. Bello era il pensiero di uccidersi in uno dei soliti modi, già più volte presi in esame, con quel sentimento del suicidio così tipicamente infantile: «Ben vi sta, se ora mi taglio la gola». Bella era anche l’altra prospettiva, quella di affrontare, invece di me, l’olandese e strozzarlo o sparargli un colpo, sopravvivendo alla sua brutale, indifferenziata, vitalità.