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Il libro di oggi è dedicato a tutti quelli che vogliono cimentarsi nella narrazione di saghe familiari.
Molti sono gli scrittori che si sono dedicati a questo genere, maestra indiscussa per esempio Isabel Allende, ma ho trovato la storia di ‘La famiglia Karnowski‘ singolare per la struttura narrativa e per il tempo del narrare che l’autore Israel Joshua Singer, fratello del premio Nobel per la letteratura del 1978: Isaac Bashevis Singer, ha voluto imprimere alla sua storia.
Il libro, che racconta le vicende dei Karnowski, è una rara testimonianza di usi e costumi delle famiglie ebree prima della grande persecuzione.
La prima generazione vive in Polonia alla fine dell’Ottocento e il capostipite, David, decide di uscire dall’oscurantismo dello shtell e si trasferisce nella moderna Berlino, dove la famiglia prospererà e il figlio Georg diventerà medico e potrà ambire a quel prestigio sociale che David sognava. Con il nazismo tutto sarà travolto e il giovane Jegor, nipote e figlio, si rifugerà nella crudele New York per avere salva la vita sì, ma vivere il totale straniamento e la difficoltà dell’integrazione.
La prima edizione del libro in lingua yiddish è del 1943, in Italia viene pubblicato da Adelphi nel 2013.

Nel quartiere ebraico di Scheunenviertel regnava la costernazione.
Davanti alle loro botteghe, alle loro taverne kasher e alle loro case di preghiera, gli ebrei originari della Galizia avevano affiancato alle bandiere tedesche quelle austriache. Accanto al ritratto dell’imperatore Guglielmo, baffi sottili all’insù ed elmo a chiodo, avevano collocato il loro sovrano, l’imperatore d’Austria, coi suoi favoriti bianchi che sembravano sorridere e il suo sguardo paterno. Le bandiere più alte, i ritratti più grandi erano quelli appesi al balcone scrostato dell’albergo Franz Joseph, di proprietà di reb Hertzele Vishnik di Brod. Parecchi ebrei galiziani in cappotto d’alpaca contemplavano con soddisfazione il loro imperatore.
«Che aspetto nobile ha, il malocchio lo risparmi,» dicevano con affetto «un vero monarca».
«Dio gli conceda lunga vita» lo benedicevano le donne.
Ragazzi e giovani uomini, richiamati in patria per essere arruolati, stuzzicavano i loro vicini russi.
«Vedremo come lo conceremo per le feste il vostro Ivan!» minacciavano. «Il Kaiser, che Dio lo benedica, gli darà una di quelle lezioni, potete contarci…».
Gli ex sudditi dello zar erano disperati. L’imponente gendarme panciuto che da anni percorreva avanti e indietro con passo solenne le strette viuzze ingombre di rifiuti tenendo d’occhio gli abitanti, ora andava dall’uno all’altro chiedendo loro di prepararsi. Li doveva arrestare tutti senza eccezione.

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