Il ragazzo non riusciva a vedere niente nel buio ma non gli importava. L’esperienza e la lunga pratica gli assicuravano che il risultato finale sarebbe stato ottimo. Era bello. Il getto fluido, il movimento del braccio, la rotazione del polso. Bastava non staccare mai il dito dal pulsante. Senza scatti. Perfetto.
Udiva il sibilo dell’aria che usciva e sentiva la pallina ruotare sotto il dito. Erano sensazioni confortanti. L’odore gli ricordò il calzino che teneva in tasca e pensò di dargli una sniffata. Magari dopo, decise. Ora non voleva fermarsi, non prima di aver terminato il disegno con un unico spruzzo ininterrotto.
Incipit di La memoria del topo
Michael Connelly
In questo libro del 2001 Connelly inserisce nel mondo hard boiled il suo nuovo personaggio Harry Bosch. Un detective non allineato e non inserito che permette all’autore di affrontare temi piuttosto profondi come la guerra, la solitudine e un dolore profondo per ogni perdita.
Mi piace molto lo stile di Connelly perché è secco e senza fronzoli, influenzato dalla carriera di reporter dell’autore. Le sue descrizioni del degrado, del mondo della droga pieno di crimine e violenza sono cronache della realtà quotidiana. Convincenti.
Ci vorrebbe un tipo come Hieronymus Bosch per avere la sicurezza che ogni indagine sia condotta a termine con ineccepibile ricerca della giustizia e con limitato all’essenziale rispetto per la legge. Affascinante.
Nella realtà, esistono uomini e donne senza macchia e senza paura che svolgono il loro lavoro senza altro compenso che la gratificazione d’aver fatto il proprio dovere?