Hannah Arendt, ‘La vita della mente‘. L’ultimo lavoro della grande pensatrice che ci ha fatto scoprire ‘La banalità del male‘, rimasto incompiuto.
‘La vita della mente‘ doveva essere sviluppato in tre parti: la prima che chiede dove si trova l’io che pensa e che lo colloca tra passato e presente, tra il vissuto e il da vivere.
La seconda che ragiona sul concetto di Volere, sconosciuto agli antichi e introdotto dal cristianesimo, che deve fare i conti con un Dio onnipotente e il libero arbitrio.
La terza parte, solamente in abbozzo, che s’interroga sul Giudicare.
Leggere questo testo credo sia un’esperienza che dovrebbero fare tutti. C’è da perdersi!
Questo Qualcuno, il pensatore che si è disavvezzato a volere per «lasciar-essere», è in realtà il «se Stesso autentico» di Essere e tempo, che ora ascolta la chiamata dell’Essere anziché quella della Coscienza. Diversamente dal se-Stesso, è vero, il pensatore non è richiamato da se stesso al suo se-Stesso autentico; nondimeno, «udire la chiamata significa una volta di più portarsi nell’agire effettivo (sich in das faktische Handeln bringen)». In questo contesto il significato della «svolta» è che il se-Stesso autentico non agisce più da se stesso (ciò che è stato abbandonato è l’In-sich-handeln-lassen der eigensten Selbst) ma, ubbidiente all’Essere, attiva in sé puramente pensando la controcorrente dell’Essere che sta sotto la «schiuma» dell’ente – le mere apparenze la cui corrente è governata dalla volontà di potenza.