Fulvio è indispettito. Da giorni per la verità. Anche quell’anno gli tocca partire a seguito della mamma e dei fratelli e andare in vacanza in montagna. In uno sperduto postaccio in mezzo alle rocce scoscese, in un paesetto dove non capita mai nulla e non c’è nemmeno una ragazza decente da guardare.
Sua madre non gli aveva permesso partire con la famiglia del suo amico Giuseppe che andava a passare l’estate al mare, in un “villaggio fantastico, dove si balla tutte le sere e dove possiamo trovare tutte le ragazze del mondo. Anzi tutte le più splendide ragazze del mondo” così glielo aveva descritto Giuseppe.
Il malumore non fa che aggravare i disturbi da adolescente di Fulvio: si tormenta, a turno, tutti i brufoli sulla faccia; è quasi sempre assente rivivendo gli ultimi incontri con Rosa, del quarto anno, o fantasticando storie pericolose dove lui alla fine riesce sempre a salvarla da pericoli inimmaginabili; inciampa in ogni ostacolo; si riempie di lividi urtando ogni spigolo; rompe qualunque cosa gli viene consegnata nelle mani e sogna una vita di successo, in un mondo di successo, con gente fichissima!
Dovrà studiare tutta l’estate, invece! La stronza di matematica non gli ha regalato il mezzo punto sufficiente a sgamarsela (e a partire con Giuseppe) quindi, a settembre, dovrà dare l’esame di riparazione.
Il nonno è ingegnere, da sempre ama la matematica e con una pazienza inusuale per il suo carattere, fornisce a Fulvio, il suo nipote preferito, ripetizioni gratuite, tutte le volte che si incontrano.
Pensare a tutto questo non rende l’umore di Fulvio migliore. E l’agonia di quell’estate se la sente già sulle spalle che mantengono, nonostante i suoi quindici anni, un che di gracile, di infantile. Il nodo in gola gli impedisce quasi di respirare mentre carica una valigia nel bagagliaio dell’auto di mamma. Fa un ultimo tentativo, per non piangere: “Vado con papà, dai mamma!”
Donatella guarda suo figlio. Lo capisce, ma è arrabbiata con lui. Un po’ più d’impegno e….
“Lo sai che papà parte stasera e andrà in Germania per due mesi e lo sai che non può portare anche te. Te l’abbiamo già detto, la sua azienda non vuole parenti al seguito in questa fase. Vedremo più avanti. Smetti di lamentarti, che in fondo è solo colpa tua e aiutami con i tuoi fratelli. Sul sedile dietro, lascia posto per culla di Martina.”
“Mamma,” insiste “se io sto sempre in albergo, nella mia stanza, chi se ne accorge in ditta che sono con papà? Non faranno accertamenti in albergo, spero!”
Donatella alza gli occhi furiosa e gli scocca un’occhiataccia.
“Sì, va bene. Va bene, preparo il posto, se no poi chi ti sente a te….”
“Fulvio! Basta! Comportati con rispetto! Controlla anche che Marcello e Paolo carichino le cartelle.”
“Agli ordini, feldmaresciallo…” borbotta a fior di labbra per non farsi sentire.
Adesso davvero le lacrime bruciano le palpebre! Lacrime di frustrazione. Di rabbia.
Sicuro, lo sa anche lui.
Ci avesse messo solo un po’ più d’impegno, ma anche la prof! Invece di rovinargli l’estate perché non regalarglielo quel mezzo punto? E lui che si è illuso di starle simpatico!
Dalla porta escono correndo e gridando Marcello e Paolo, spingendosi e lanciandosi le cartelle un po’ ridendo e un po’ con fraterna competizione, seguiti da papà con in braccio Martina, solo un mese, così piccola e gracile. Mangia poco ed è leggermente sottopeso. La mamma è preoccupata per lei, perché non può allattarla, però il pediatra l’ha rassicurata, in montagna diventerà forte e robusta.
Fulvio risale a casa, controlla di aver preso i libri e il mangianastri.
All’ultimo minuto, apre l’anta dell’armadio e sfila la racchetta. Magari gli lasceranno fare qualche palleggio contro il muro della casa senza rompere troppo.
Guarda dentro lo zaino con i vestiti e vede che mamma lo ha già riordinato con cura. Non c’è più l’essenziale bolo di magliette e pantaloncini che aveva messo lui nel massimo disordine, ma il suo guardaroba quasi completo ben piegato e pigiato.
Scende, carico. In silenzio, con gli occhi bassi, passa il bagaglio al papà che lo sistema con grande maestria nel bagagliaio già stracolmo.
“Il mangianastri lo tengo davanti con me.”
“Come preferisci. Non lo usare però, che Martina quando sente la musica, piange.” gli ricorda il padre bonariamente. Poi lo abbraccia. Lo bacia su una guancia. Fulvio si sottrae con guizzo d’anguilla e non gli permette di dargliene un altro. L’umor nero del figlio non gli permette neppure di dirgli quanto gli vuole bene, anche se a scuola poteva andare meglio, e che gliene vorrà sempre. Qualunque cosa accada.
Fulvio sale davanti, accanto alla madre già al posto di guida. Il padre le chiede attraverso lo sportello aperto: “Sicura che te la senti di arrivare fin lassù da sola?”
“Sì, l’ho fatto spesso. Non preoccuparti. E poi Fulvio mi aiuta.”
“Telefonami quando sei arrivata.”
“Va bene, ma rimani in casa. Che altrimenti non ti trovo e sto in pensiero!”
“Tranquilla. Dove vuoi che vada? Parto stasera tardi. Passa Lorenzo a prendermi alle otto e andiamo all’aeroporto…”
Marcello e Paolo cominciano a litigare per il possesso di un camioncino.
“Ok, ragazzi, buoni! Che la mamma si deve concentrare nella guida.” ordina il papà, facendo terminare in un lampo la discussione. Chiude lo sportello e rimane a salutare con la mano finché non spariscono.
Dopo un po’ di tafferugli i fratellini più piccoli cullati dal dondolio della macchina s’addormentano. Fulvio finge di dormire con la testa appoggiata al finestrino.
Così mamma può piangere silenziosamente in santa pace i suoi due mesi lontana dal marito.
All’arrivo in paese i nonni li accolgono con calore:“Fulvio! Ciao, caro!” esclamano e lo abbracciano a turno.
Poi salutano la nuora, Donatella, e Marcello e Paolo “Ma come siete cresciuti!” e, con estrema delicatezza, si passano Martina che si succhia la manina e li guarda inconsapevole, e le poggiano un bacio delicato sulla guancina scarna.
Tutti insieme, festosamente rumorosi, entrano in casa e dispongono le loro cose nelle camere al secondo piano della grande casa di nonna.
Fulvio si attarda, li guarda con un misto di affetto e snobismo, sente la radio del vicino che trasmette canzoni in voga e tristemente, vinto, solo e abbandonato alla sua adolescenza raccoglie le sue cose e chiude il portellone. Toglie le chiavi dal cruscotto, chiude l’auto e le intasca, non si è mai troppo prudenti con i due fratellini in giro.
Nulla di nuovo nella casa dei nonni. Tutto uguale a sempre, nessuna nuova emozione, anche la sua stanza, con sufficienza e noia, gli sembra di ricordarla a menadito, crepa per crepa, tarlo per tarlo.
Sale lentamente le scale, gira a destra e in fondo al corridoio apre la porta. Quante cose ha lasciato lì dentro. Si accorge che alcune le aveva dimenticate! Sulle pareti, poster di varie dimensioni e l’accurata cartina che avevano disegnato estate dopo estate con il nonno.
Anni fa, avevano scelto di seguire una coppia di aquile, per studiarne le abitudini. L’avevano chiamata Coppia Alfa, perché il loro progetto prevedeva di studiare tutte quelle che vivevano in zona, ma la noia aveva avuto il sopravvento. Per un ragazzino, a lungo andare, non è molto interessante l’ornitologia!
Posa tutto spargendolo qua e là nel suo caratteristico disordine. Continua a sentirsi depresso, ma anche curioso di ritrovare i vecchi passatempi e di ricordare momenti felici. Di nuovo lo sguardo gli corre sulla cartina dove avevano segnato la zona di habitat della Coppia Alfa e Fulvio pensa che forse le aquile stanno ancora in quell’angolo di mondo, ben delimitato, loro territorio.
Il nonno alle sue spalle dice, come leggendogli nel pensiero: “Sì, sono ancora qui. La Coppia Alfa vive sempre nella stessa zona. Ha i nidi sempre negli stessi posti, e quest’anno ha deposto le uova in questo qui.” e indica il punto esatto nella cartina. Fulvio ricorda immediatamente il picco scosceso a circa 1700 metri che aveva visto un paio d’anni prima con il nonno, steso sulla pancia in una cengia sospesa appena sopra.
“Davvero?” dice con annoiata noncuranza e il nonno smette di parlare di aquile, ma aggiunge: “Ho comprato una nuova macchina fotografica con gli obiettivi intercambiabili, poi te la faccio vedere. Magari ti viene voglia di andare a fare qualche foto alle aquile.”
“Magari.” risponde Fulvio scontroso, ma in sé dispiaciuto per il nonno che cerca in tutti i modi di farlo stare bene. Si gira e quasi di corsa scende in cucina gridando a gran voce: “Nonna, ho fame. Hai preparato i biscotti?”
Lo raggiunge la risata di lei: “Sì, te li ho messi nella scatola sopra la credenza. Adesso arriviamo anche noi. Intanto tu e nonno mettete sul fuoco l’acqua per il the.”
“E bada ai tuoi fratelli” aggiunge mamma.
Marcello e Paolo sono fermi in piedi a guardare una trasmissione televisiva. A casa mamma non li lasciava molto davanti alla tele.
Fulvio è raggiunto dal nonno e insieme, in silenzio, come tante mattine all’alba in partenza per qualche scalata o altra avventura, si aggirano sincroni nella stanza e prendono tazze e piattini, cucchiaini e teiera e posano tutto in bell’ordine sul tavolo. Si sorridono, hanno ancora lo stesso ritmo segreto!
A Fulvio fa piacere spostarsi sicuro nella cucina di nonna senza rompere nulla e si sente un po’ rasserenato.
“Tuo padre mi ha chiesto di darti lezioni di matematica per l’esame di riparazione, lo sai, vero?”
“Sì, nonno. Ho deciso che sarà la volta buona. Mi sono stufato. Questa volta l’imparerò sul serio. Promesso.”
“Mi fa piacere sentirtelo dire! Ma dovrai impegnarti molto. Quando si perde la fiducia di un insegnante non è facile recuperarla… Sì, lo so. Anch’io preferirei andare a studiare la coppia Alfa” disse sorridendogli e ammiccando.
“Un giorno di questi vorrei tornare a vedere come stanno.”
“Beh, dovresti trovarci i pulcini ormai, in questo periodo. Vediamo se a marzo fan le uova… 40 -45 giorni per schiudersi…Circa due mesi per diventare aquilotti… Si dovrebbero esserci pulcini abbastanza grandi adesso. Ti ricordi quando abbiamo visto la loro Danza del cielo?”
A Fulvio tornano subito in mente le immagini delle due aquile durante la fase del corteggiamento. La femmina in volo rovesciato a velocità folle sovrastata dal maschio e poi giù in picchiate da gridare a vederle e poi ancora giri della morte, capriate… Sì, emozionante, la forza e la grazia della natura.
“Domani mattina, se vuoi, possiamo andare a vedere il nido.”
“Sì grazie nonno, ci andremo. Uno dei prossimi giorni, ci andremo, promesso.”
Il nonno capisce che non ne ha voglia, o almeno che non ha voglia di andarci con lui. Sarà che ormai lo vede solo come un insegnante di matematica?
I giorni si trascinano lenti. Nel fresco delle mattine, nel caldo sereno dei mezzogiorni, nelle ore di ripetizione, nella frescura delle sere.
Finché un giorno Fulvio non ne può più e chiede al nonno se gli presta la nuova macchina fotografica per il giorno dopo.
“Certo che sì!” gli risponde il nonno ben felice di avere nuovo argomento di conversazione con il nipote e gli spiega per filo e per segno la funzione di ogni tastino, come cambiare gli obiettivi e come fare foto differenti con ognuno di essi. Gli spiega come cambiare il rullino e cento, mille altre cose. Divertendosi un mondo a far impazzire Fulvio con tutte le sue chiacchiere.
La mattina dopo Fulvio si alza ch’è ancora buio. Tutti dormono. Facendo pianissimo si veste e stacca dal muro della sua stanza la mappa della Coppia Alfa; in salotto mette tutti i pezzi della macchina fotografica nella borsa; in cucina si prepara un paio di panini veloci e riempie la borraccia. In entrata indossa i gli scarponi. In un attimo è fuori.
Brrrr! Deve rientrare subito perché fa freddo. Risale con gli scarponi ai piedi, camminando sulla corsia di tappeto per attutire il rumore. Dall’armadio prende la giacca pesante che lasciava sempre lì appesa e, per sicurezza, anche un vecchio berretto con il frontino e torna all’aria aperta. Sta meglio così.
S’inerpica sul sentiero conosciuto che porta verso le pendici del monte e, a sole sorto, si ferma per mangiare e controllare la cartina. Sta andando bene, il sentiero lo porterà alla cengia e lui dall’alto potrà osservare il nido con i pulcini o gli aquilotti, se sono cresciuti abbastanza.
Le scarpe gli fanno male. S’è scordato di mettersi i calzini pesanti. E non ricordava così erto quel tratto di sentiero. Suda per la fatica. Accidenti a lui e allo stare sempre buttato da qualche parte, invece di allenarsi. Con testardaggine, continua a salire. Ogni tanto si ferma per riprendere fiato e scattare qualche foto. Non è sicuro verranno bene, ma per saperlo deve provare.
Sale il sole e lui comincia a spogliarsi finché non rimane in maglietta.
Sente il cuore battere più forte, ha riconosciuto il pino dal tronco storto. Rimane solo la parete da scalare, ma è facile e ha molti appigli. Ormai è vicino alla cengia. Tra poco vedrà la coppia Alfa e i suoi nuovi piccoli.
Lentamente si avvicina al bordo dello strapiombo, tentando di fare il meno rumore possibile.
Si sporge e vede il nido.
Rimane sorpreso dalla vicinanza degli aquilotti. Due anni fa il nido gli era sembrato così distante!
Al momento le aquile non ci sono e Fulvio scatta una bella serie di foto dei batuffoli pigolanti, contento di poterle mostrare al nonno.
Con la coda dell’occhio vede una delle due aquile che si avvicina portando nel becco la preda.
Si ritira il più possibile e rimane ad osservarla scaricare la piccola marmotta e controllare con scatti veloci della testa lo spazio intorno al nido.
Con prudenza, Fulvio si sposta più indietro e rimane fermo al coperto per un bel po’.
Poi si avventura ancora sul bordo e di nuovo vede il nido dove i due piccoli pigolano e a turno beccano il cibo, strappando brandelli di carne con il becco già robusto.
Improvvisamente, senza sapere neppure il perché, Fulvio vuole quei due piccoli.
Li vuole per sé, per allevarli durante l’estate e vederli volare o tornare al suo comando.
Si vede già famoso sulle pagine dei giornali come addestratore eccezionale di aquile.
Velocemente, ma con cura rimette le macchine fotografiche nella borsa.
Si guarda alle spalle e si assicura della saldezza di un vecchio pino mugo, vi aggancia i piedi e stringe. Si allunga al massimo, rimanendo in equilibrio sull’orrido solo sulla pancia. Si stende ancora per un po’ e li sente tra le mani. I corpicini caldi, la morbidezza delle piume, il cuore che batte a mille.
Li aveva presi! erano suoi!
Con estrema fatica, aiutandosi con gli avambracci si tira di nuovo indietro, sulla cengia.
Mette i due aquilotti nel berretto e inizia la sua scapicollata corsa verso valle e la casa del nonno.
Ogni tanto deve fermarsi, gli fa male la milza.
S’è accorto che una delle aquile Alfa segue dall’alto i suoi movimenti ben indirizzata dai pigolii degli aquilotti nel berretto, ai quali risponde con vigorosi gridi.
Fulvio, incapace di sostenere l’enormità della situazione nella quale s’è cacciato, cerca solamente di arrivare il più presto possibile a casa per chiedere aiuto al nonno.
Si ferma lo stretto necessario per bere ogni tanto e per riprendere fiato e poi corre e corre.
Quando arriva vicino alla casa, vede che la macchina di mamma non è parcheggiata al solito posto. Già, doveva andare in paese con nonna a fare spese.
Per fortuna! Avrebbe potuto parlare solo con il nonno!
Quando arriva trafelato il nonno sta uscendo dalla casa seguito da Marcello e Paolo che tentano invano di convincerlo a costruire un aquilone. La culla di Martina è in penombra sullo spiazzo davanti alla casa. Fulvio arriva e comincia a gridare trafelato la sua storia. Il nonno non capisce nulla, Marcello e Paolo strillano, agitati dalla sua agitazione e Martina piange a dirotto. Un pianto che nessuno sembra sentire.
Il nonno guarda le mani di Fulvio, vede il cappello con i due capini pigolanti e intuisce subito. Guarda in alto dove rotea l’aquila che grida, in pena.
La rabbia lo travolge. Alza un braccio e colpisce con forza la guancia di Fulvio con una sonora sberla. Fulvio, sbilanciato, ruzzola per terra e i pulcini nel berretto pigolano di paura.
Marcello e Paolo prima si pietrificano vedendo gli animaletti sconosciuti e poi tentano mosse d’avvicinamento per toccarli, prenderli in mano. Il nonno e Fulvio li respingono, li allontanano.
Alla fine in nonno ordina a voce alta: “ Voi due, dentro! A casa, e chiudete la porta!”
I bimbi si avviano mogi mogi. Che ingiustizia allontanarli da quella meravigliosa novità!
Fanno finta d’obbedire e rimangono silenziosi sul portoncino semichiuso a spiare ogni movimento.
Fulvio spiega al nonno cos’ha fatto, in lacrime, e ripete che non sa cosa fare. Non sa perché ha preso gli aquilotti, non sa come rimediare.
Il nonno ascolta furibondo. Non è quello che gli aveva insegnato. Non è quel nipote che vuole. Non vuole quell’adolescente teppista che crede di potersi intromettere nei ritmi della natura.
Più Fulvio cerca di spiegare, più il nonno s’infuria.
Sentono il pigolio dal berretto e sentono le risposte dell’aquila che rotea sulle loro teste.
Quel pigolio diventa sempre più allarmato perché nella caduta, Fulvio ha perduto la presa delicata che aveva sul berretto che è finito a terra imprigionando al buio i due piccoli.
Martina continua a strillare forte dalla culla e il nonno si rende conto che deve prenderla in braccio e va verso la culla che non riesce a raggiungere in tempo.
In picchiata, l’aquila scende come una pallottola sulla culla e Fulvio si gira in tempo per vederla afferrare la sua sorellina e la porta in alto, sempre più su nel cielo limpido e pulito, privo di nuvole.
Non ha parole. Rimane immobile, spalla a spalla con il nonno ad osservare il volo di Martina che piange.
Passano secondi? Minuti? Ore?
Fulvio si riscuote, prende il suo berretto da terra, lo apre e lo poggia ai piedi della culla di sua sorella.
Una seconda lunga picchiata poi l’aquila frena e si abbassa lenta in cerchio. Riappoggia Martina sulla culla, si prende in un battito d’ali i due aquilotti e ritorna nell’azzurro, emettendo striduli gridi di rimprovero e sollievo.
Fulvio prende in braccio Martina, rossa a furia di piangere e la stringe a sé, liberato da una maledizione.
Il nonno barcolla e si schianta sulla sedia da giardino, lì vicina.
Marcello e Paolo si accostano lentamente. Martina piange disperata.
Il nonno con voce emozionata ricorda: “Bisogna darle il biberon!”
Fulvio entra in casa, seguito dagli altri e si mette all’opera in silenzio.
Quando tutto è pronto finalmente anche Martina tace, mangiando.
Il nonno con voce profonda e autorevole dice: “Patto dell’aquila!”
I tre ragazzi lo guardano incuriositi e lui continua: “Non diremo nulla a nessuno di ciò che abbiamo visto. Promesso? Croce sul cuore?”
Fulvio, Marcello e Paolo annuiscono serissimi e pallidi, giurano e promettono, mano sul cuore: “Non parleremo a nessuno dell’aquila e di Martina!”
Ma il racconto girò di bocca in bocca, di casa in casa, di paese in paese e si sparse nella valle e sulla montagna perché ogni terra deve avere le sue leggende.