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Sempre per chi ama il genere humor o desidera cimentarsi con esso nella scrittura, eccone d’un altro tipo: quello sofisticato e macabro di Roald Dahl, famoso per aver scritto ‘I Gremlins‘ del 1943, ‘La fabbrica di cioccolato‘ del 1964.
Roald Dahl nascue nel 1916 nel Galles, da genitori norvegesi. Il padre muore nel 1920 e Dahl trascorre l’infanzia e l’adolescenza in Inghilterra appena terminata la scuola, rifiuta una borsa di studio per l’università e va a lavorare alla Shell Petroleum Company, azienda che gli permette di viaggiare molto. A diciotto anni va in Africa, ma allo scoppio della Seconda guerra mondiale si arruola come pilota nella RAF. La sua prima missione si conclude con uno incidente piuttosto grave del quale porterà conseguenze per tutta la vita.. Dopo il congedo si trasferì negli Stati Uniti per conto del controspionaggio alleato. Lì scoprirà la sua vocazione di scrittore. Rientrato in Gran Bretagna, scrisse la sceneggiatura del film di James Bon: ‘Si vive solo due volte‘ e di ‘Chitty Chitty Bang Bang‘. Negli anni Ottanta realizzò i suoi capolavori: Il ‘GGG‘ nel 1982, ‘Le streghe’ nel 1983 e Matilde nel 1988. Morì nel 1990. La vita dello scrittore fu costantemente appesantita da problemi di notevole importanza: la frattura cranica di uno dei figli appena nato, la morte della sua primogenita Olivia, l’ictus della moglie Patricia. Mantenne sempre la sua capacità leggera e piena di spirito di scrivere, sia per la produzione dedicata all’infanzia, che per quella rivolta ad un pubblico adulto. Se volete un approccio facile e completo potete iniziare con i racconti del volume ‘Il meglio di Roald Dahl‘ edizione Le fenici.

Il brano che vi propongo è tratto, invece, da ‘Le streghe‘ del 1983.

La nonna sembrava una vecchia regina assisa in trono: gli occhi grigi erano come
annebbiati e guardavano lontano, il sigaro pareva vivo e ne uscivano azzurre nuvole
di fumo che l’avvolgevano tutta.
«Ma la piccola Birgit non scomparve, vero, nonna?»
«No, lei no. Visse per molti anni ancora e continuò a deporre uova».
«Avevi detto che tutti i bambini erano scomparsi».
«Mi sono sbagliata» disse la nonna. «Invecchio e comincio a perdere la memoria».
«Che ne è stato del quarto bambino?»
«Il quarto si chiamava Harald. Un bel mattino si svegliò con la pelle giallastra e
rugosa, come il guscio di una noce. E la sera stessa era di pietra, completamente di
pietra, dalla testa ai piedi».
«Di pietra?» dissi io. «Di pietra vera?»
«Di granito» precisò la nonna. «Se vuoi ti
porterò a vederlo. I suoi genitori lo tengono
nell’ingresso. Harald è ormai una piccola graziosa
statua e spesso gli ospiti lo usano per appenderci
gli ombrelli».
Ero ancora piccolo, ma mi riusciva difficile
credere a tutto quel che la nonna raccontava. Eppure parlava così seriamente, con tanta convinzione, senza mai sorridere e senza un’ombra di malizia negli occhi, che
cominciai a sentirmi turbato.
«Continua, nonna, mi hai detto che erano cinque. Ne rimane uno».
«Vuoi tirare una boccata dal mio sigaro?» chiese lei.
«Ho solo sette anni, nonna».
«Non importa. Se fumi il sigaro non prenderai neanche un
raffreddore».
«Raccontami del quinto bambino».
«Il quinto» borbottò lei, masticando il sigaro come fosse uno
squisito bastoncino di liquirizia. «Quello sì, fu un caso
interessante. Un bambino di nove anni, di nome Leif, era in
vacanza con tutta la famiglia sulle rive di un fiordo. Dopo aver
fatto merenda, lui e i fratelli amavano nuotare fra le rocce e anche
quel giorno, come sempre, il piccolo Leif si tuffò. Suo padre, che
lo guardava, notò che restava sott’acqua più a lungo del solito.
Quando tornò in superficie non era più lui».
«E che cos’era, nonna?»
«Era diventato un delfino».
«Non ci credo! Non è possibile!»
«Invece sì» disse lei. «Un giovane e amabile delfino, straordinariamente
socievole».
«Nonna».
«Sì, tesoro?»
«Si era davvero trasformato in delfino?»

 

 

Photo: www.finzionimagazine.it

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