“Eppure m’inorgoglisco della mia umiliazione, e poiché a tal privilegio son condannato, quasi godo di un’aborrita salvezza: sono, credo, a memoria d’uomo, l’unico essere della nostra specie ad aver fatto naufragio su di una nave deserta.”
Così, con impenitente concettosità, Roberto de la Grive, presumibilmente tra il luglio e l’agosto del 1693.
Incipit di L’isola del giorno prima
Umberto Eco
Da dove si parte per commentare un testo di Eco? Da lui stesso, citando una delle postille al Nome della Rosa:”Per raccontare bisogna anzitutto costruirsi un mondo, il più possibile
ammobiliato sino agli ultimi particolari.” E dalle mie parole, un suo lettore qualunque. Un po’ sopraffatto dalla componetene epistemologia del XVII, ambientazione della storia – in parole povere: che non essendo ferrata come lui nella materia Storia del XVII secolo e in filosofia a volte mi son persa e ho dovuto consultare molti testi di storici vari per capire quello di cui parlava Eco, ma è giusto che sia così-. Mi ha affascinato, invece, il mondo che lui ha preparato per il suo personaggio, così esotico, un mondo pieno di mare di fiori, piante e animali di quell’isola solo intravista, così utopisticamente irraggiungibile. Lo consiglio agli amanti dei romanzi storici e soprattutto a chi ne voglia scrivere uno come linea guida.
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