Nel maggio del 1943, in una sua lettera da Napoli, mia sorella Ada fra l’altro scriveva:
«Ti ricordi don Ignazio? S’era ridotto a vivere in “basso a Margellina. L’ultimo bombardamento gli ha spazzato via tutto. Figurati che nella fretta di scappare lasciò sul comodino perfino i denti finti. Ma tu sai che uomo è. Dice che non può allontanarsi dai clienti. Perciò si è allogato nella buca prodotta da una bomba, improvvisandovi un tetto in lamiera. Ha trovato uno sgabello e ha trovato un tavolino. Non so se ti ho mai detto che da qualche anno tira avanti ricopiando musica e dando lezioni di chitarra. Insomma, due giorni dopo il disastro, era già a posto nella sua buca. Si crede che non gli permetteranno di rimanervi. Egli obietta che quello è soltanto il suo ufficio, perché di notte trova ospitalità in casa di un suo allievo. Che tipo. Nella domanda di risarcimento di danni ha scritto: pregovi disporre d’urgenza che mi venga assegnata una dentiera, non potendo in mancanza fumare la pipa.»
L’oro di Napoli
Giuseppe Marotta
Un libro scritto riunendo trentasei racconti già apparsi come elzeviri sul Corriere della Sera. Leggendoli d’un fiato, uno di seguito all’altro, si notano meglio alcune delle caratteristiche dello scrittore e del suo scrivere: soprattutto la capacità di illuminare Napoli alla luce dei ricordi. Da napoletano trapiantato a Milano, Marotta descrive con affetto la sua città e trasmette l’amore dei napoletani per la vita e la loro capacità di adattarsi ad essa, raccontando della forza della madre, e le avventure di personaggi molto reali che riescono a cadere sempre in piedi accompagnati da una grandissima pazienza e spirito di sopportazione che li porta a reggere anche le relazioni più complesse e faticose. E tutti sono in grado di riciclarsi adeguatamente ad ogni sgarbo o folata violenta della vita. Capacità che, a tutti gli effetti, sono la ricchezza, il vero oro di Napoli.
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