A me piace leggere Gilbert Keith Chesterton, non i suoi famosissimi gialli con protagonista Padre Brown, ma molti degli altri suoi libri. Mi piace il modo acceso e un po’ fracassone con il quale trascina il lettore facendogli attraversare scenari comici, filosofici, cupi e pensierosi o paradossali. Il libro che mi ha riconquistata oggi è ‘L’uomo che fu Giovedì‘. Il protagonista, Gabriel Syme, riesce ad infiltrarsi, grazie al poeta Lucian Gregory nel Consiglio Centrale Anarchico e ad indagare sulle attività del gruppo. Gli adepti devono assumere il nome di un giorno della settimana e Syme diventa Giovedì, alla caccia del presidente Domenica, diabolico e sfuggente, per fermare la già predisposta rivoluzione.
Ogni qualvolta guardava nella piazza, vedeva il rassicurante poliziotto, pilastro d’ordine e di buon senso. Ogni volta riportava lo sguardo sulla tavola, vedeva il presidente che seguitava a studiarlo coi grossi occhi insostenibili.
In quel tumulto di pensieri, due soli non gli balenarono mai. Innanzi tutto, non gli avvenne mai di dubitare che il presidente e il suo Consiglio l’avrebbero schiacciato; se continuava a tenersi in disparte. Il luogo dove si trovavano poteva ben essere pubblico, il progetto poteva ben sembrare impossibile: eppure Domenica non era uomo da dimenticar di montare, prima o poi, in un modo o nell’altro, la trappola mortale: con un veleno misterioso o con un’improvviso incidente di viaggio, con l’ipnotismo o con i fuochi dell’inferno, lo avrebbe senza dubbio colpito. Se lo sfidava, egli era un uomo morto: o lì, su due piedi, reso cadavere su quella sedia: o molto tempo dopo, durante un innocuo malanno. Solo se chiamava subito la polizia, arrestava tutti, diceva tutto, e metteva in moto contro di loro tutta l’energia dell’Inghilterra, sarebbe probabilmente scampato: certo non altrimenti.
Photo: Chesterton’s Caricature