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uno

Sole a picco, mezzogiorno caldo. Zainetto che impiccia. Non una grande idea questa domenica pomeriggio nei prati in campagna: troppo caldo e vestiti inadatti, bambini che giocano rumorosamente, gente che strepita, canzoni a tutto volume.
Finalmente raggiungo l’inizio del bosco. Mi sembrava più vicino, però. Trovo sollievo, penombra, fresco e silenzio.Mi tolgo gli occhiali da sole e mi guardo attorno mentre cammino nella navata di una cattedrale.
Fusti diritti e lisci uniscono le fronde in alto, in una perfetta volta a crociera gotica.
La leggera nebbia che lievita dal sentiero non mi permette una visione nitida.
La frescura mi sale dai piedi scalzi nei sandali.
L’assenza di rumori è totale, ma non priva di presenze, sembra.
Una mano fredda mi passa lungo la schiena e mi volto di scatto.
Suggestioni? O Inquietudini? Non c’è niente.
Riprendo a camminare. Guardo avanti.
Il movimento di una veste bianca? O il riflesso di un raggio?
Mi sento a un po’ a disagio. Il sudore, sulle spalle, si raffredda.
Funghi dai cappelli marroni, corpi giallicci e aria velenosa rompono il tappeto di rami e foglie in umida decomposizione.
Poco più avanti, sulla destra, un’ara sacrificale. Antica.
La pietra bianca bocciardata, ormai crepata e invasa dai muschi, mostra stancamente simboli incisi incomprensibili.
Alzo ancora gli occhi alla volta.
Tronchi in fila. Fronde intrecciate. Nebbiolina.
Sento il muschio morbido sotto i piedi e un fruscio.
Abbasso lo sguardo.
Due piedi scalzi che sbucano da un saio nero.
Mi scappa un grido mozzo e un salto all’indietro.
La figura sbarra il sentiero.
La testa incappucciata, il viso chino in avanti, le mani infilate nelle larghe maniche della tunica, immobile.
Mi volto e in fretta esco dal bosco.
Meglio il sole, meglio la luce che fa male agli occhi. Meglio le grida dei bimbi che giocano nei prati e gli schiamazzi dei maleducati.

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