Dopo la verista Deledda con la sua spiccata capacità di analisi dell’animo umano, voglio consigliarvi di leggere uno sperimentatore: Alain Robbe-Grillet con il suo ‘Nel Labirinto’ del 1959, afferma che le realtà e le cose rimangono quelle che sono, nonostante gli sforzi di un, seppur bravo, narratore. Quindi il contatto con la realtà potrà avere solo carattere inventariale o geometrico e costringerà l’autore all’utilizzo di una parola priva di mistificazioni letterarie.
L’etichetta con cui viene solitamente archiviato Robbe-Grillet è “realista” o “fenomenologico” ma potremo dire che lui è un grande fan del visivismo, che ama raccontare, cioè, il personaggio non attraverso le emozioni che lo distinguono, ma solo descrivendo le cose che vede attorno a sé. Descrivendo tutto fin nelle più piccole particelle. Alain Robbe-Grillet divenne anche sceneggiatore e regista. Quello che il suo modo di scrivere mi trasmette è una sottile sensazione di attesa che qualcosa avvenga alla frase dopo, alla scena successiva, al capitolo dopo…
L’ambiente è sensibilmente lo stesso: uno stretto corridoio verniciato di marrone scuro fino a mezza altezza, e poi d’un crema incerto che copre anche il soffitto, molto elevato. Ma le porte sono più numerose, tanto a destra che a sinistra, sebbene identiche a quelle di prima per dimensione e colore: scure, alte, piuttosto strette. Il corridoio è probabilmente più lungo. La lampadina è la stessa, rotonda, di scarsa luminosità, appesa all’estremità del filo a treccia. Il pulsante della minuteria, di porcellana bianca, si trova giusto nell’angolo del corridoio con la scala. I due uomini camminano lentamente, l’uno dietro all’altro. Il primo, quello che porta una vecchia giubba da caporale, ha appunto premuto il pulsante, passando (al pianterreno quindi non ce n’era uno, se la scala hanno dovuta farla al buio?); ma del sistema così messo in moto non s’è udito che lo scatto iniziale: il debole ticchettio successivo è stato coperto dal rumore degli scarponi chiodati sugli ultimi gradini, che il soldato saliva più spedito che poteva vederci. La sua guida, davanti a lui, porta scarpe dalle suole di gomma, e il fruscio dei suoi passi è appena percettibile. L’uno dietro all’altro, i due uomini passano davanti alle porte chiuse, che s’allineano alte e strette a destra e a sinistra, con la loro maniglia di porcellana bianca, brillante, che spicca sulla vernice scura e ripete di distanza in distanza l’immagine puntiforme della lampadina appesa al soffitto.
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