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«Zia Sara! Ma quanti merletti e pizzi hai in questo armadio!» mi grida Filippa dal corridoio, dove sta curiosando nell’armadio guardaroba bianco ‘milleante’, evidentemente.
Mia nipote dodicenne è parcheggiata per un po’ da me mentre madre e padre, da bravi separati, nella mia taverna, sistemano i turni per andare a prendere la figlia a scuola, decidono quale sabato deve stare con chi e dove.
Il chiasso che fanno in queste occasioni è deprimente. Soprattutto per Filippa, che è una ragazzina sveglia e capisce ben oltre le parole.
Controvoglia mi alzo dal divano, dove mi volevo rilassare un momento prima di affrontare la cena, e la raggiungo. Non so mai quanti danni riesca a combinare e a quale velocità.
«Stai di nuovo ficcanasando dove non dovresti?» le chiedo avvicinandomi e guardando anch’io dentro l’armadio.
In effetti così, con tutte la ante spalancate, è una visione imponente.
Filippa si dondola su una gamba e poi sull’altra, ancheggiando, mentre osserva tutti i miei scaffali ordinatamente carichi di biancheria per la casa, nella sua tenuta da sport talmente stretch che le aderisce come un adesivo colorato e le scarpe dalla suola alta che le fanno sembrare i piedi due carri armati.
«Accidenti, zia! Quanta roba! La mamma non ne ha così tanta! Ma ti piacciono davvero tutti quei pizzi a pezzoloni?»
«Son sicura che pezzoloni in italiano non voglia dir niente, comunque non direi che mi piacciono molto, infatti in giro non ne vedi. Dato, però, che li ho fatti tutti io e so quanto tempo e fatica mi son costati, cerco di tenerli in ordine e con cura» ammisi in un impeto di sincerità.
«Ma dai, zia! Fatti tu? Non ci credo. Non ci credo» ripete divertita ridendo.
«Chiedi a nonna, lei se lo ricorda bene. Dato che ha preparato tutti i disegni per questa roba.»
Filippa mi guarda sbigottita e sbotta: «Beh, a noi ragazze del 2000 non ci frega nessuno! E nessuno ci potrà mai mettere a fare ‘sta roba! Mia mamma poi…» e ridacchia.
Così, con naturalezza, mi scivola la risposta: «A noi, ragazze nella seconda metà del ‘900, invece, capitava, soprattutto se si nasceva in montagna come me, di essere educate fin da piccole, dalla mamma e dalla nonna, alla preparazione del corredo…»
Filippa scoppia in una sincera risata: «Come le damine del ‘700 o le signorine bene della Austen e quella roba lì?»
«Sono piacevolmente colpita che tu, così giovane, conosca già la Austen, ma smettila di prendermi in giro, ok? Tua nonna ha iniziato quando ero piccola ad insegnarmi a lavorare all’uncinetto e a ricamare. Prima le presine e i centrini, che erano facili, poi, pian piano tutto il resto fino alle bordure a filet.»
«Filet, che roba è?» sogghigna già annoiata Filippa, dissacrante e sarcastica mentre mastica gomma, ruminando bene, si specchia nell’anta di vetro, per vedere se è magra abbastanza, si aggiusta una ciocca dei lunghi capelli castani con la sinistra, e continua, senza impegno, a pigiare tastini sul suo smartphone con la destra.
«Già!» le dico «Si vede proprio che saresti molto interessata alla mia risposta.»
«Dai, non rompere. È che devo avvisare Kika che ci vediamo più tardi in palestra, qua si fa lunga. Comunque è strano, zia, pensare a te che fai queste cose. Sei sempre al computer, hai tre cellulari, e maneggi un sacco di aggeggi tecnologici…» riprende a messaggiare con lo smartphone.
Poi si allontana lasciando tutto spalancato.
«Pensi che ne avranno ancora per molto, quei due?»
«No, non credo.»
«Mi fanno una tristezza!» e mentre parla ha già tirato fuori da una micro tasca del giacchino le cuffiette; le indossa e si lascia cadere sul divano ascoltando musica (se si può chiamare così) ad un volume preoccupante.
Chiuso. Il mondo fuori.
Ritorno in corridoio e lentamente richiudo le ante. Ricordo i lunghi pomeriggi invernali passati a ricamare o lavorare all’uncinetto o a ferri, chiacchierando con le cugine e ridacchiando al pensiero delle abitudini stravaganti delle nostre madri, sempre appiccicate alle gonne delle loro madri, o accompagnate da uno chaperon… O al pensiero, allora imbarazzante, di un marito.
Il nostro modo di passare il tempo.
Niente corsi di ballo, di chitarra, di nuoto, di canto, di portamento come per Filippa. Con la madre che la trascinava qua e là per riuscire a farle fare un ‘book fotografico decente per la carriera di modella o magari in televisione’.
Madri differenti, mondi differenti, sfere che raccolgono i nostri cammini.
Ognuno a capire poco del disegno, a vivere quel che c’è. Che domani è un’altra storia. O forse no.

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