La prima volta che la vidi avevo quindici anni.
Avevo lasciato la scuola e non ci volevo tornare. Se dovevo perdere tempo, avrei deciso io come. Perciò passavo i giorni e le notti a farmi del male, con la sacra stupidità delle giovinezza. Leggevo solo libri di suicidi, frequentavo balordi, bevevo di tutto, dagli amari allo stravecchio, fumavo e mi gloriavo di un catarro da ottantenne. Vivevo da solo, nel garage di un vecchio zio ricco e rimbambito, circonfuso da badanti.
Incipit di Pantera
Stefano Benni
Di Benni ho letto molte storie piene di umorismo e di particolarità. Dall’imprescindibile Bar Sport del 1976 con la rassegna dei personaggi che lo frequentano, e in ogni paese italiano c’è almeno un bar sport, e la famosissima descrizione della Luisona. Esilarante. A Elianto del 1996, dove il protagonista è un mondo immaginifico, ma riconoscibilmente quello dell’Italia della seconda repubblica. A Pantera uscito da poco. Dove la protagonista sconvolge e diventa la primadonna dell’Accademia dei tre principi. Credo proprio che, per descrivere il mondo con ironia e creare personaggi come questa dark lady suis generis, non ci siano maestri migliori.
I bar o i ritrovi dove le passioni si possono esprimere pienamente perché sono comprese quasi per osmosi, non sono i luoghi dove possiamo ricaricarci e trovare energie da spendere nella versione ufficiale di noi stessi?