Todaro era elettrizzato. Accalorato nell’emettere giudizi che gli sgorgavano dalla lunga esperienza. Argomento del giorno: l’incapacità diagnostica dei medici contemporanei. Todaro continuava a parlare anche se vedeva che Ricco Cosimo, gestore del bar vicino alla chiesa, trapiantato dal Sud al Nord, continuava il suo lavoro come al solito. Sapeva per esperienza che le orecchie del Cosimo erano allenate a non ascoltare.
Todaro faceva vanto di appartenere ad una famiglia di tuttologi. Tuttologi blasonati di terza generazione. La definizione gli era stata passata addirittura da un professore d’università.
Una domenica mattina, dopo messa, al bar era arrivato il professore universitario che aveva comprato la casa dei Tosoli e, assieme alla famiglia, si era seduto a mangiare brioche e cappuccino.
Todaro era particolarmente ispirato quella mattina, e il professore fu costretto a sentirlo per una mezz’ora di fila mentre spiegava, a voce alta, come mai per mantenere un adeguato guadagno si era dovuti passare dalla coltivazione del cavolo a quella del radicchio. Alla fine, piuttosto seccato da quella compagnia imposta e fastidiosa, il professore, uscendo, gli aveva detto: «Lei è proprio un opinionista e tuttologo del cavolo».
Al Todaro la definizione piacque molto e da quel giorno si presentò sempre come ‘Paolo Todaro, pinionista e tutologo’. Non gli sembrava il caso di aggiungere del cavolo, visto che lui parlava di tutte le cose e non solo del cavolo!
Todaro ricordava spesso che il capostipite della sapienza familiare era stato il nonno, Flavio Todaro, gran lavoratore di terra, in special modo dei campi di un ricco latifondista della zona delle Valli di Chioggia.
Il nonno sapeva tutto di tutto. In parte per scienza infusa, in parte per conoscenza diretta ed esperienza. Nelle sue sedute al bar spiegava ai malcapitati come dovevano procedere con le coltivazioni, con il mercato e faceva previsioni del tempo e previsioni sul raccolto. Nonno Flavio aveva un’opinione per ogni occasione e riusciva sempre con estrema abilità a farla conoscere a tutti gli avventori presenti al bar centrale, interessati o meno che fossero.
Il padre Luigi, invece, aveva ereditato la tuttologia di Flavio, sia quella infusa che quella derivata da esperienza, e in più l’aveva di molto arricchita lavorando come marinante sul barcone di un tal Bepi Boscolo “el capitan”. Dato che facendo il pescatore, si sa, si guadagna poco, Bepi all’occorrenza caricava sul suo barcone anche gente ricca di terraferma e la portava, a pagamento, a pescare in mezzo al mare.
Papà Luigi imparò molto, quindi, sulla navigazione e sulle reti, che sapeva aggiustare, ma anche costruirsi dal nulla.
Apprese molto anche sulla gente che si poteva permettere le cose e sulle cose che quella gente poteva permettersi. Ne ascoltava i discorsi e ne faceva tesoro.
Todaro era cresciuto, quindi, proprio come un tuttologo a tutto tondo, riconoscente verso il nonno e il padre per la sapienza che gli avevano passato.
Lui lavorava da un meccanico e s’intendeva di motori.
Ne sapeva quindi, ne sapeva proprio: di terra, di mare e di meccanica!
Quella sera, ancora un po’ macchiato dal lavoro, Todaro cercava di esprimersi nel suo miglior eloquio, cioè utilizzando un po’ più di parole italiane, ché faceva ‘fine’, lo sapeva.
Appena arrivato, infatti, aveva colto con la coda dell’occhio una giovane donna provocante, non certo del paese, seduta ad un tavolino che discuteva molto concentrata con un ragazzo.
Gli era chiaro che doveva arrivare da una grande città e ne aveva avuto conferma quando, interrotto il suo monologo per bere, aveva sentito l’accento di lei: ‘romano de Roma’.
Il tuttologo, specie protetta, secondo Todaro doveva avere caratteristiche specifiche e peculiari: innanzi tutto doveva trovarsi solo al bar, preferibilmente il centrale, verso l’imbrunire o la domenica mattina. Doveva saper effettuare, poi, l’alzata di gomito non solo con nonchalance senza dar l’impressione di bere con ingordigia, ma anche con tempistiche cadenzate in modo da permettere al tuttologo di far fuori bianchi e rossi, fermi o frizzantini, in quantità considerevole. In effetti Todaro si era convinto che la quantità di vino sorbita secondo il rituale permettesse di aumentare e affinare le conoscenze. Il suo motto era quindi: tutologo veneto, più beve, più sa.
L’unico problema era che gli si arrossava la rosacea e il naso e le guance diventavano di fuoco. Ma il sapere valeva qualche sacrificio.
Sotto sotto, senza averlo mai confessato a nessuno era certo che i maschi della sua classe avessero un cromosoma, da lui affettuosamente ribattezzato ‘comarosa’, in più. E che fosse grazie a quello che nella sua famiglia si sapesse così tanto di tutto e si potesse saltabeccare da un argomento all’altro apparentemente senza legame logico.
Così procedeva tranquillo con la sua litania sui medici, quasi in automatico: «So sacrificà dal mal de testa, son dà dal dottore el me ga dito: caro, podaria essere una ‘cenalea’ a grappolo, ma anche un tumore. Quindi bisogna fare una risorgenza magnetica. Me mugiere tre giorni a ghe ga meso a fare tute e carte. E quanto me se costà? A mi 46,50 euro. Ma al problema xe che allo stato a costa 356,75. Sì, signore. Par forsa semo sempre sensa schei par al debito publico! Te capissi che se sto medico non xe bon curarme, mi gò sempre mal de testa e spendemo tutti un saco de schei par niente!»
Mentre parlava teneva sotto controllo la brunetta al tavolo che cercava di rimanere concentrata nella conversazione. Tentava di spiegare qualcosa al giovane sedutole accanto.
Era la sorella sicuramente, sentenziò Todaro. Non si comportava come na morosa.
Bella come il sole, la ragazza. Le gambe che piacevano a lui, con il polpaccio e la coscia muscolosa. Non grasse, ma forti. La vita stretta, i fianchi ampi. Il seno….Una quarta. Quella che lui adorava. Bella, bella.
Le opinioni grondavano: «Mi stago mal e al dotore non xe bon capire. Tanto par eo che diferensa xe se? Mal de testa o tumore? Cossa sarà mai! Ma mi gò mae, te digo. E eo xe bon solo de aggravare a situasion economica…»
Doveva stare attento, si stava un po’ ripetendo. Ma quella ragazza lo distraeva. Quanti anni poteva avere? Le guardò le mani: 28-30. Decise. Belle mani poi, lunghe, affusolate.
Le unghie non gli piacevano. Ogni unghia aveva un colore diverso: verde, rosso, arancio… No a lui non andavano, e se fosse stata sua figlia non le avrebbe permesso di dipingersele in quel modo. Ma non era sua figlia, per fortuna.
Todaro si accorse che la brunetta si avvicinava e subito fece una dichiarazione internazionale: «Tutto da Roma i decide! Noialtri non podemo decidere. Tutto da là i fa.»
Poi sospese per un momento il fluire delle opinioni. La brunetta gli si era accostata di molto.
Lui fece finta di non vederla, emozionato, guardando fisso nel vuoto davanti a sé.
Che voleva da lui quello Splendore?
Lei gli disse, a bassa voce: «Questa tua malattia con cui stai rompendo da ore, mi sa che è contagiosa. A sentirti m’è venuto un gran mal di testa pure a me!» e si allontanò.
Todaro si sentì un po’ ferito nella sua tuttologia e rimase fermo sul suo sgabello finché i due non ebbero pagato e non furono usciti.
Qualche minuto di silenzio.
Poi, memore che il tuttologo veneto non si abbatte mai, ed essendo entrate al bar altre persone, ricominciò guardandosi attorno: «Te digo mi che i medici i ne porterà alla rovina, i spende massa perché no i sa mai trovare na causa al to mal…»