Célestine aveva molta fame. Giorni che non metteva nulla nello stomaco.
Da un anno non riusciva a trovare lavoro. Aveva finito tutti i suoi risparmi e non aveva neppure i soldi per pagare la stanza, in quel ricettacolo di sfortunati dov’era stata costretta a vivere negli ultimi mesi, anche se le garantiva ancora una parvenza di rispettabilità.
New York, 1930, spietata e drammatica.
Quella sera, dopo l’ennesimo sollecito di pagamento da parte della padrona di casa, Célestine salì stancamente le due rampe di scale dalla passatoia sfilacciata e usurata. Si buttò sul letto che cigolò da preoccuparsi e fu invasa da una rabbia sorda che la fece urlare contro dio, il destino e ogni essere umano che potesse sentirla.
Per fortuna le altre stanze della casa a quell’ora erano vuote.
Poter sfogare la rabbia, la fece sentire meglio.
Schizzò in piedi e camminò nervosamente avanti e indietro lungo lo stretto spazio della sua camera per togliersi di dosso quell’irrequietezza.
‘Devi trovare un posto dove mangiare!’ si ordinò.
Agguantò con gesto nervoso il cappotto e si accorse che, dopo la giornata passata a camminare di qua e di là per la città a chiedere lavoro a varie agenzie, era bagnato e pesante.
Aprì l’armadio, prese una gruccia e ve lo drappeggiò con cura, abbottonando tutti bottoni. Agganciò la gruccia alla maniglia della finestra in modo che il cappotto asciugasse senza perdere la sua aria ordinata e ber bene.
Dall’armadio prese l’impermeabile.
Novembre non è mai un gran che come mese. Il buio arriva presto e la pioggerellina impiastricciata di smog si aggrappa ai capelli, ai vestiti e al cuore come fuliggine nera.
Vide il vestito che aveva comprato a settembre dell’anno precedente, con largo anticipo, per indossarlo durante la cena di Natale organizzata dalla sua azienda.
Lo aveva scelto nel migliore negozio che si poteva permettere, dopo aver risparmiato per mesi, elegante, in seta nera, abbinato ad un grazioso e civettuolo cappellino con la veletta e ad un completo intimo di pizzo nero che modellava al meglio la sua figura.
Nelle sue intenzioni dovevano aiutarla a farsi notare dal signor Brown che lavorava nella sua stessa ditta al secondo piano e che Célestine sentiva essere la sua anima gemella.
Lui era sempre gentile e garbato con lei, che, a volte, gli faceva da segretaria. Non gliene era stata ancora assegnata una fissa perché era giovane, appena arrivato e doveva ancora fare carriera. Célestine sognava assegnassero a lei quel posto.
Un paio di volte le era sembrato che lui volesse chiederle qualcosa di più personale, ma che si fosse trattenuto per buona educazione o per timidezza.
Dopo il 24 ottobre 1929 però il mondo come lo conosceva lei s’era capovolto e tutto era cambiato.
Era stata licenziata una ventina di giorni dopo senza aver potuto rivedere il signor Brown. Chissà che sorte era toccata a lui?
Nei mesi successivi, a volte, era passata sotto il palazzo della vecchia sede, ma non era mai riuscita ad incontrarlo e poi aveva dovuto lasciar perdere, occupata dalla pressante ricerca di lavoro.
Se non riusciva a trovare una soluzione avrebbe dovuto tornarsene nel Vermont, sperando che l’anziana madre l’accogliesse in casa.
Con un guizzo di vitalità decise di indossare l’abito, di farsi bella prima di uscire. In qualche modo era decisa a trovare un pasto decente e soddisfacente per quella sera.
Camminava a passo spedito lungo le strade come avesse una meta precisa. Il buio precoce rotto qua e là dalle fioche luci dei lampioni. La sua figuretta svelta che attirava gli sguardi degli uomini facendola sentire di nuovo giovane e orgogliosa.
Ad un tratto riconobbe la strada che aveva percorso con la sua amica Louise una sera dell’estate precedente rientrando dopo il cinema. L’amica le aveva fatto notare un locale sotto il livello della strada, dall’ingresso quasi invisibile, celato dalle scala che vi conduceva e le aveva spiegato che in quel posto si trovavano spesso le signore della notte a fare affari.
E se, anche lei, avesse scelto di scendere l’ultimo gradino?
Di andare giù all’inferno senza ritorno?
Sentì di nuovo i morsi della fame e la ruvidezza della solitudine. Mentre dal locale uscivano musica, chiacchiericcio, un’odore indefinibile e qualche risata raschiata dalla gola di una donna.
Abbassarsi a tanto per ottenere in cambio lo stretto necessario per la sopravvivenza?
Rimase sul ciglio del primo gradino, sospesa, la mano sinistra poggiata al corrimano. Il cuore che batteva forte, le orecchie che pulsavano e lo stomaco che si stringeva!
In un attimo la sua testa fu piena dei sermoni del suo pastore con descrizioni apocalittiche dell’inferno. E della rabbia di sua madre quando se n’era voluta andare dalla casetta sperduta, alla periferia di Burlington, per cercare fortuna a New York, mentre l’accusava di voler diventare una prostituta.
Célestine si girò e fece due passi, poi ci ripensò e tornò sul primo gradino della scala.
Poteva scegliere così? Poteva decidere freddamente e razionalmente, come stesse decidendo di accettare di svolgere un qualunque altro lavoro? Che ne sapeva lei in realtà?
Senti l’inquietudine salire dallo stomaco e bruciare. Si sentiva confusa e insicura, ma anche spavalda e determinata. Non voleva tornare a casa e non voleva più avere fame.
Molto lentamente poggiò il piede sinistro sul gradino successivo e sostò con il destro ancora indietro, come a trattenerla. La musica saliva e scendeva di volume, le voci seguivano il suo ondeggiare e s’intrecciavano alle risate sorde.
Stava per alzare il piede destro e avanzare quando alle sue spalle sentì: «Buonasera, Miss Davis.»
Célestine si voltò di scatto, rispondendo sorpresa: «Buonasera, Mister Brown!»
Risalì i due gradini e porse la mano al suo ex capo del secondo piano. Lui la prese e la trattenne un attimo più del necessario mentre le sorrideva e diceva: «Sono contento di rivederla. L’ho cercata in quest’anno, ma sembrava sparita.»
«Purtroppo ho dovuto darmi da fare e cercare una nuova occupazione, come lei, immagino.»
«Sì, anche a me è toccata la stessa sorte. Mi hanno licenziato un mese dopo di lei. È riuscita a trovare un nuovo lavoro?»
«No, non ancora. Sa, ci sono centinaia di segretarie competenti e qualificate come me.»
«Ne sono rattristato. Senta, che ne dice di venire con me a prendere qualcosa o ha già un impegno? Ho visto che stava scendendo…»
«No, no. Nessun impegno. No. E no, non stavo scendendo. M’incuriosiva la musica, e mi avvicinavo per ascoltare…»
Lo guardò negli occhi, come un vera bugiarda.
Lo sguardo di lui le fece capire che aveva intuito i pensieri che le passavano per la testa e gli fu grata che non li esprimesse ad alta voce, perché non avrebbe saputo spiegargli con chiarezza.
Lui ripeté: «Se le fa piacere potrebbe accompagnarmi a cena? Vado a mangiare in un piccolo locale qui all’angolo. Non posso permettermi molto, in questo periodo. Ho trovato un nuovo lavoro solo da due giorni. Ma le offro volentieri un hot dog o quello che preferisce e poi, se permette, la riaccompagno a casa» e aggiunse, scherzando: «Non molto romantico, vero? Passeggiata sotto la pioggia!»
«Non vorrei crearle troppo disturbo.» rispose Célestine, emozionata e grata per quell’incontro.
«Nessun disturbo e poi è da tempo che volevo invitarla! E speravo proprio di incontrarla! Sono stato fortunato.»
Camminarono uno fianco all’altra, chiacchierando, lungo il marciapiede, scoprendo il fascino delle piccole cose che scoprivano di avere in comune. La pioggerellina aveva steso uno strato luccicante e, forse, scivoloso. Il signor Brown, galantemente, le offrì il braccio. Célestine vi infilò il suo, felice.
Alle volte scendere un gradino di troppo può far precipitare gli eventi.
Il destino passa e il caso decide.