Scusate ma avendo terminato di leggere Shantaram mi sento particolarmente ‘orfana’.
Sarà la lunghezza (1177 pagine), sarà la bravura dell’autore, sarà la storia in sé o la folla dei personaggi così vividi, ma non riesco a staccarmene. Provo a leggere altro, ma ogni libro mi sembra un po’ insipido e torno a Shantaram. Un viaggio dentro l’India e dentro l’autore.
Vorrei proporvi il brano dove il protagonista ottiene il suo nome ‘di famiglia’ indiano (segno della massima integrazione di un uomo in una cultura non sua), che ho trovato non solo accattivante, ma anche divertente, gioioso, dolce e ironico:
“Avevo una possibilità di rinascere, di seguire il fiume interiore, di diventare l’uomo che avevo sempre voluto essere. Lo stesso giorno in cui mi spiegavano il “gioco della piena”, circa tre ore prima che rimanessi solo nella pioggia, la madre di Prabaker mi aveva raccontato di aver convocato una riunione delle donne del villaggio: aveva deciso di darmi un nuovo nome, un nome marathi, come il suo. Siccome vivevo nella casa di Prabaker, fu stabilito che il mio cognome dovesse essere Kharre. Siccome Kishan era il padre di Prabaker, e il mio padre adottivo, la tradizione imponeva che il suo nome diventasse il mio secondo nome. E siccome giudicavano che la mia indole fosse benedetta da una serena felicità – aveva concluso Rukhmabai – , le donne avevano deciso il mio primo nome. Shantaram, che significa “uomo di pace”, o anche “uomo della pace di Dio”.
Quei contadini avevano conficcato i bastoni nella terra della mia vita. Conoscevano il punto dentro di me in cui il fiume si sarebbe fermato, e lo avevano segnato con un nuovo nome. Shantaram Kishan Kharre. Non so se avevano scoperto quel nome nel cuore dell’uomo che credevano io fossi, o se l’avevano piantato come una pianticella di buon augurio, per farlo crescere e fiorire. Forse avevano scoperto la mia pace interiore, forse l’avevano creata loro. In ogni caso l’uomo che sono oggi nacque in quel preciso istante, mentre ero in piedi vicino ai “bastoni della piena” il viso rivolto al lavacro battesimale del monsone. Shantaram. L’uomo migliore che, lentamente e con troppo ritardo, cominciai ad essere.”