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Colored Folks Corner

Tornare a casa, a volte, può non essere piacevole come dovrebbe. E per Patrizia quel giorno non lo fu. Lo zaino le pesava sulle spalle e aveva una fame terribile dopo gli allenamenti estivi. Sperava tanto che mamma si fosse ricordata di prepararle qualcosa di buono, da lasciarle in frigo o nel forno. E voleva tanto farsi una doccia calda, per sciogliere i muscoli e liberarsi dal sudore!

Invece, appena imboccò la sua strada si rese conto che non avrebbe potuto realizzare i semplici desideri. Una folla sotto la sua casa circondava due auto della polizia e un’ambulanza, nonostante il caldo di luglio.

Urla uscivano dalla casa e Patrizia riconobbe la voce alterata della signora Franchi, sua vicina di appartamento e di terrazzo. Lei e il marito litigavano sempre e alla fine lui passava alle maniere forti, pestandola di brutto.

Un paio di volte il padre di Patrizia, troppo buono, secondo lei, aveva accompagnato la donna al pronto soccorso.

Patrizia non era d’accordo con il padre. Quella donna doveva imparare a difendersi e andare dalla polizia a denunciare il marito per maltrattamenti! Non poteva andare avanti a lasciarsi trattare così! Un giorno lui l’avrebbe uccisa! E se lo sarebbe voluto.

Il padre e la madre di Patrizia sapevano che tra marito e moglie i rapporti spesso erano fin troppo complessi e non se la sentivano di giudicare Susanna Franchi con l’idealismo della figlia. Per questo cercavano di aiutare la donna il più spesso possibile. Alcune volte ospitandola all’insaputa del marito, altre prestandole un po’ di soldi in modo che potesse andarsene per alcuni giorni.

Patrizia pensò che ormai Susanna stesse uscendo di testa mentre, con voce sgraziata, urlava: «Lasciatemi stare! Lasciatemi stare, bastardi schifosi! Andatevene, lasciateci da soli!»

Decise di evitare l’assembramento davanti al portone d’ingresso e sulle scale e di passare per il garage. Veloce come una gattina s’infilò nella porticina ricavata nel grande portellone e diede un’occhiata intorno. Nessuno sembrava averla notata. Chiuse la porta e salì di sopra, con la scala a chiocciola interna, fino al suo appartamento. Il chiasso nell’ingresso era fortissimo. Uomini che gridavano ad altri uomini ordini, informazioni, strategie. La signora Franchi che sovrastava tutti con singhiozzi e grida: «Fuori! Andatevene. Lasciateci soli! Andate via!» la voce sempre più roca.

Patrizia poggiò lo zaino in camera e andò allo spioncino dell’ingresso. Guardò fuori, ma non vide altro che una confusa selva di nuche illuminata dalla fioca luce del pianerottolo.

Voleva sapere cos’era successo e per farlo di diresse al balcone. In salotto, fece scorrere la grande porta-finestra, lentamente. Si avvicinò all’elegante balaustra dal bordo ondulato che separava le due terrazze e, rimanendo il più possibile nascosta, fece uscire solo gli occhi. Come si aspettava, si trovò davanti il salotto dei Franchi, la loro stanza preferita. La signora Susanna gridava con la voce gracchiante e gonfia per la disperazione e per le emozioni che Patrizia riusciva a vederle scorrere in volto. Il marito all’inizio non lo vide. Poi si accorse che doveva essere steso a terra perché di lui scorgeva i piedi calzati nelle pantofole e la parte inferiore dei pantaloni della tuta che era solito indossare quand’era a casa.

Fermarsi ad osservare Susanna le creò dentro una grande impressione!

Aveva addosso una di quelle camicie da notte leggere, sbracciate e bianche, lunghe fino a sfiorare i piedi. La fasciava come una seconda pelle e metteva in risalto tutta la sua magrezza scarna da prigioniera.

Lunghe macchie dense e rosso scuro imbrattavano la seta su quasi tutto il davanti, nella mano destra teneva un lungo coltello da carne e lo stringeva con folle isteria.

Vi si aggrappava come se la sua stessa vita provenisse da quel manico di legno lordato di sangue. Anche le mani erano coperte di sangue secco, ma dalla destra, ferita, stillavano piccole e frequenti gocce di sangue.

Il volto stravolto e stralunato, gli occhi vitrei spalancati dalla pazzia del raptus.

Nessuno riusciva ad avvicinarla mentre continuava a gridare: «Andatevene, bastardi! Andatevene da casa mia! Lasciateci soli! Andate via!»

Le braccia erano del tutto ricoperte di lividi bluastri, la guancia sinistra gonfia e rossa, il labbro tumefatto. L’arcata destra era aperta lungo quasi tutto il sopracciglio e un rivolo di sangue scorreva insistente sull’occhio e la guancia mischiandosi alle lacrime. Susanna ogni tanto se lo asciugava con il polso. Senza delicatezza, quasi con rabbia.

Patrizia si sentì solidale con Susanna come non mai e decise che l’avrebbe aiutata in qualunque modo possibile.

Avrebbe riferito alla polizia delle litigate e delle mille altre volte che se l’era prese dal marito.

Magari avrebbe anche potuto mentire e dire di aver visto com’era successo, ma si rese conto subito che la verità era la cosa migliore. Avrebbe calcato la mano sulla brutalità di lui, di molto. Così sarebbe stata utile. Se avesse, invece, mentito e l’avessero scoperta, avrebbe solamente danneggiato Susanna.

Vide un giovane paramedico che si staccava dal gruppo di uomini impugnando dietro la schiena una siringa piena di liquido trasparente. Vide Susanna agitarsi, minacciarlo con il coltello: «Non avvicinarti, vattene! Lasciami stare, vattene via stronzo bastardo! Cosa vuoi da me?» gridando sempre più ossessionata.

Il ragazzo con un guizzo le fu accanto e in un secondo le infilò l’ago nel braccio non armato.

Qualche momento e Susanna s’accasciò scivolando lentamente su se stessa e poggiandosi a terra con la testa. Come inginocchiata in preghiera. Il coltello cadde e non fece alcun rumore sul tappeto. Susanna fu immediatamente afferrata dagli infermieri, stesa, legata alla barella e portata via.

La quiete rimase sospesa su tutta la scena per un tempo indefinito.

Poi tutto iniziò a muoversi al ritmo di un circo.

Usciti i paramedici, un medico constatò la morte del signor Franchi senza spostarlo.

Patrizia rimase a osservare a lungo i rilevamenti, l’andirivieni del personale scientifico e gli addetti dell’obitorio che portavano via il cadavere.

I poliziotti suonarono più volte al campanello del suo appartamento, ma lei non andò ad aprire.

Doveva prepararsi bene e presentarsi sicura e serena nella verità calcata che voleva raccontare. Aveva bisogno del sostegno di mamma e papà.

Rimase ferma e silenziosa finché tutti non si furono allontanati.

La mamma rientrò per prima, come al solito. Patrizia le spiegò l’accaduto e le due, dopo aver concordato le versioni anche con il padre per telefono, si recarono alla più vicina stazione e resero le loro testimonianze che giustificavano in pieno il gesto di Susanna come legittima difesa.

In macchina, rientrando, la madre chiese a Patrizia: «Come mai hai cambiato idea? Non dicevi che lei sbagliava e che non aveva giustificazioni e che doveva imparare a difendersi…»

«Sì, sì. Lo so. Ma quando l’ho vista lì tutta imbrattata di sangue! Così piena di lividi! M’ha fatto troppa pena! Ho capito che il marito non avrebbe neppure dovuto iniziare, che in realtà la responsabilità era proprio del signor Franchi. La violenza iniziale era sua! La responsabilità della violenza era sua. Soprattutto sono riuscita ad immedesimarmi in lei e ho capito molte cose. Quindi anche una donna inflessibile come me, le ha dato le attenuanti.»

La madre la guardò con tenerezza: «Beh, donna…Hai quindici anni!»

«Donna appunto.» le rispose seria Patrizia.

Quasi un anno dopo Patrizia incontrò per caso Susanna.

Sempre magrissima, sempre elegante con gli occhiali firmati e un cappello di paglia a larghe tese.

Lei la riconobbe e, sorridente, la ringraziò con calore per l’aiuto che le aveva dato.

«Sto molto meglio, ora» disse allegra «anche grazie al mio nuovo compagno: Nicola» e mise il suo braccio sotto quello di un uomo elegante e profumato che le stava a fianco, presentandoglielo.

Patrizia si sentì contenta per loro e salutò augurando ogni bene alla coppia.

Allora Susanna con un gesto aggraziato sfilò gli occhiali e si abbassò a baciarla sulle guance.

Patrizia li guardò mentre si allontanavano, agghiacciata.

L’occhio destro di Susanna era tumefatto e sul sopracciglio un secondo taglio, trattenuto da strip, incrociava la cicatrice del primo, deturpando come allora i tratti fini di Susanna.

Photo: Edward Hopper, Western motel

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