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UltimaLettera

L’ultima lettera
(note a fine racconto)

Tra mille precauzioni Alex tenta di spiegare il foglio ripiegato troppe volte. Gli resiste e sembra spesso e compatto.
Di certo era stato Arnold Van Bird¹ a piegarlo e infilarlo nell’ultima pagina del suo taccuino pieno di testimonianze sulla vita di Theo e Vincent van Gogh, che Alex sta usando per la sua tesi.
È ovvio, però, che deve parlarne al bibliotecario e rivelargli la sua scoperta. Non può assumersi la responsabilità di maneggiare quel foglio e magari di romperlo, o di renderlo illeggibile.
Rimette il diario di Arnold dove lo aveva trovato: in una specie di tasca formata dal cartone della carpetta difettata.
Esce dalla sala studio e si avvicina al bancone del bibliotecario capo.
Tutti sanno che Jeroen è sempre lì, celato dall’impalcatura di libri sulla scrivania.
Alex tossisce discretamente ed ecco che Jeroen arriva, con la sua calma tranquilla.
Per farsi capire, ad Alex, basta un cenno: abbassa lo sguardo e fa vedere l’angolo del libricino nero che risalta sul fondo bianco.
Se avesse trovato qualcosa che nessuno aveva mai visto prima?
In fondo è la speranza di tutti i laureandi e i ricercatori, no?
Alex è molto teso e già pregusta il social tam tam della sua scoperta!
Ha il batticuore! Eroe di una nuova pagina di storia?
L’uomo di fronte a lui s’infila i guanti bianchi di cotone, poi estrae il libricino.
Chiede ad Alex senza guardarlo: «Trovato adesso?»
«No, l’ho trovato l’altro giorno, non è presente nella lista dei documenti contenuti in questa carpetta e mi sono incuriosito. Così l’ho sfogliato un po’ – con tutte le solite precauzioni, s’intende – per capire se fosse importante o meno. Nel senso che non sapevo se fosse stato allegato a qualche altro documento. Sa, io sto facendo una tesi…»
«Sì, lo so. Fa parte del mio lavoro sapere chi viene qui, perché ci viene e verificare i documenti che consulta. Fammi vedere. Questo è il quaderno di Arnold Van Bird, che è davvero esistito, che ha davvero vissuto con i Van Gogh e che ha scritto queste memorie. Ci risultava perduto. Sparito dalla sua collocazione nel 1979. Capita, a volte, che un documento s’infili un un’altra carpetta. O che non venga riposto correttamente. Abbiamo una squadra di addetti che cerca i documenti che non si trovano al proprio posto. Succede sempre, invece, che siano gli studiosi o i laureandi che ci avvisano del ritrovamento di documenti fuori posto. Quindi, adesso che sai che esiste, lo vorrai citare nella tua tesi, giusto?»
Ah, che delusione! Nulla di nuovo! Ingenuo anche solo a pensarlo!
«Certo, non sarebbe male, per me, inserirlo in tesi. Parla di molte cose interessanti e racconta la vita di Theo e Vincent da Parigi in poi… Comunque c’è un foglio ripiegato molte volte in ultima pagina. È pressato e spesso e non riesco ad aprirlo. Sono venuto da lei per questo.»
«Fammi controllare» e, con il libricino, si sposta alla scrivania.
Torna dopo parecchio tempo, ma Alex vede soddisfatto che regge il foglio aperto.
«Sistemato e verificato. In effetti anche questa era catalogata correttamente. Si tratta dell’ultima lettera che Arnold ha mandato a sua moglie. Lei era già in America, era partita prima. Arnold era un ragazzo come te, quando si sposò e si trasferì in America. Questa è l’ultima lettera che spedì alla moglie, prima di raggiungerla.»
Nuova delusione per Alex.
«Posso vederla?»
«Certo. Leggila pure con calma.»
Alex, incuriosito, ritorna in sala studio.
Poggia la carpetta sul tavolo e, accanto, il libricino nero di Arnold.
Prende la vecchia lettera e inizia a scorrerla, ma la sua attenzione è catturata da un piccolissimo lembo, in alto a destra, che sembra si stia sollevando. In realtà la carta non è così spessa come sembra. Alex scopre che si tratta di due fogli sovrapposti.
Con estrema cura, pazienza e calma, inizia lentamente a tirare il lembo, alitandoci spesso sopra per inumidirlo. Dopo un tempo che gli pesa addosso come una cappa di piombo e che lo riempie di sudore, riesce a separare quei due fogli.
Quello che compare gli fa battere all’impazzata il cuore e tremare le mani, coperto com’è dalla magica grafia di Vincent!


Auvers-sur-Oise 28 luglio 1890

Mio caro Theo,

sono sicuro che stai arrivando nonostante i tuoi malesseri recenti.
A momenti però nella mia testa malata passa il pensiero che forse non ce la farò ad aspettare il tuo arrivo. Che il mio corpo, già provato, non ce la possa fare a resistere.
Per questo ti scrivo. Per questo lascio questa lettera ad Arnold¹.
Già, Arnold.
Alla fine me ne sono accorto, che mi stava sempre intorno.
In un primo momento mi sono allarmato perché avevo pensato fosse qualcuno che volesse aggredirmi per i debiti che avevo lasciato o per qualche altro sbaglio dimenticato… Poi m’ha raccontato della sua famiglia e di te e di come vi eravate accordati. E ancora una volta sono in debito con te. Anche per Arnold, diventato la mia ombra.
Senza di te non sarei vissuto Theo.
Gli lascio, dunque, questa mia come il testamento.
Stamattina è passato il dottor Ghachet. Non può estrarre la pallottola. Mi ha prescritto laudano e altro.
La morte mi è accanto e, ti assicuro, che sento il suo fiato. Non mi fa paura, come sai. L’aspetto con un ringraziamento a Dio, soprattutto dopo Saint-Rémy.
Come ti ho scritto: Je me sens raté ².
Poi, non mi sento molto lucido, sono stanco e faccio fatica a tenere la penna in mano. Forse le medicine…
Ti lascio il mio testamento, però. Sei il mio unico esecutore. E devi sapere la verità.
Theo, non mi sono suicidato. Non mi sono sparato. E tu, Jo, il piccolo Vincent, la mamma e Wilhelmina lo dovete sapere. Dovete sapere che mai mi sarei sottratto volontariamente alle sofferenze destinatemi.
Ti dirò quindi cos’è successo, ma ti vieto di renderlo pubblico. Lo devi invece dire ai famigliari che ho detto.
Ci sono due ragazzi, i due fratelli Secrétan, qui ad Auvers, che mi seguono, spesso per deridermi e farmi sberleffi, altre volte per avere da bere. Sono poco più che bambini.
Li ha visti anche Arnold e ti dirà tutto di loro, se vorrai.
Giocavano sovente con una pistola vecchia del padre. Dicevano che era inceppata. Che non avrebbe potuto sparare. Invece so che, a volte, colpivano qualche animale. Comunque, Theo, ieri, la pistola ha sparato. E la pallottola ha colpito me, sotto il cuore, nello stomaco.
Io ti prego di non dire parola di questo. Non voglio che vivano la loro vita pagando per qualcosa che in fondo io voglio da così tanto tempo!
Mentre ero a terra non del tutto in me, ho visto i loro occhi, Theo. Gli stessi occhi senza anima dei mangiatori di patate. Stanno già soffocando nel rimorso della consapevolezza.
Qui tutti pensano che io mi sia sparato, ma come sai bene, non avrei mai potuto trovare i soldi per comprare un’arma.
Questo lo dichiaro solo a te perché non voglio tu abbia rimorsi; e tu lo dirai alla famiglia perché non voglio che nessuno abbia rimorsi.
E tu sai che non ho motivo per mentire in punto di morte.
Quando sarai qui, te lo ripeterò a voce. Faccia a faccia e lo saprai anche dai miei occhi.
Il dottor Ghachet è già convinto che mi sia sparato e lo ha dichiarato anche ai poliziotti che sono venuti per l’indagine, questa mattina.
A loro ho detto che mi sono sparato.
Ho mentito, Theo!
Per te, per Jo, per il piccolo Vincent. Per ripagarvi in qualche modo. Spinto “da un pensiero costantemente teso a cercare di fare più bene che si possa”³ che altre volte ti ho detto.
Jo è una brava donna e saggia. Se seguirai i suoi consigli sono certo che riuscirete a vendere molti dei miei quadri. “Ebbene, nel mio lavoro ci rischio la vita e la mia ragione si è consumata per metà”³ ma la mia arte sono io e io sono la mia arte.
Io credo nella mia arte.
Amo la mia arte di un amore immenso e passionale.
Di quell’amore unico e grande che mi ha ammalato, che mi ha costretto a Saint-Rémy, e che causa tutte queste crisi…
E’ solo che gli altri non sono ancora pronti per me, per la mia visione, per la mia tavolozza. Non sono pronti per i miei vortici.
Ma lo saranno.
Tra pochi anni, Theo, lo saranno. E sono sicuro che farà la differenza il modo della mia morte…
Fatti consigliare da Jo.
Sono troppo stanco per continuare.
Ti aspetto. Sono certo che arriverai in tempo.
È solo la mia anima che chiede pace.
Per sempre tuo
Vincent

 


Note:
1 – Arnold Van Bird è uno dei personaggi principali della mia biografia romanzata di Vincent Van Gogh della quale queste pagine costituirebbero il finale.
Arnold Van Bird è un giovane appartenente ad una agiata famiglia di Zundert caduta in rovina.
Arnold, dopo la morte dei genitori si era dovuto adattare, per sopravvivere, ad accettare l’ospitalità di Theo Van Gogh, fratello di Vincent, e a diventarne il segretario. L’ospitalità era stata sollecitata dallo zio di Arnold (fratello del padre) che, dopo essersi appropriato degli ultimi beni di famiglia, aveva consegnato il nipote, come indigente, ai Van Gohg. Arnold si trasferì dunque a Parigi da Theo. E da Theo fu poi mandato a seguire, da lontano, ma non troppo, il fratello Vincent, che non stava più molto bene.

2 – Traduzione: “Sento di aver fallito”.
Citazione dalla Lettera a Theo e Jo di Vincent che sta in Tutte le lettere di Vincent Van Gogh, “Silvana” – Editoriale D’Arte – Milano, 1959, Volume III, pag. 299

3 – Citazioni tratte dalla lettera di Vincent a Theo ritrovata nella tasca della giacca che indossava nel momento del ferimento che sta in Tutte le lettere di Vincent Van Gogh, “Silvana” – Editoriale D’Arte – Milano, 1959, Volume III pag. 302.

One Comment

    • Bespoke Traveler

    • 1 anno ago

    Emozionante!

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