Arturo Filippi, postino incasinato di Dueville al Mare, sperduto paese sulla costa arida e ventosa, come tutti quelli che indossano una divisa, quasi mai viene visto nella sua veste di essere umano con la sua specifica fisionomia e il suo specialissimo carattere.
Uomo di mezza età, dai capelli ricci e brizzolati, asciutto e salutista, appena un po’ di decadenza nella rete di rughe attorno agli occhi e nella pancetta un filo prominente, sta tentando di finire il giro prima che piova.
Le nuvole decidono, invece, di non collaborare e l’uggiosa giornata si rompe in una fastidiosa fitta pioggia.
L’evento meteorologico, di per sé insignificante, mette in moto di nuovo l’intramontabile vecchia macchina del caso e del destino.
Arturo sotto la pioggia sbuffa e, per la prima volta, l’utente Marco Saetta, fa caso al postino Arturo Filippi. Gli restituisce la penna e il blocco per le firme e lo invita in casa a bere un caffè.
«Grazie» gli risponde Arturo «alla mia età dovrei evitarlo, però entro volentieri così mi metto la giacca.»
Se la sta infilando quando sente un: «Salve».
Si volta sorpreso. Gli pare di riconoscere quella voce e incontra un paio d’occhi nocciola, che gli sono proprio famigliari. Rimane a guardare; sicuramente è un volto di tanti anni fa.
Porge la mano destra alla donna che lo guarda, dicendole: «Ci siamo già incontrati, vero?»
Lei sorride apertamente e il suo sguardo lo prende in giro mentre ricambia la stretta di mano.
Lei gli risponde: «Sì, Arturo, molto tempo fa. Son contenta di rivederti.» E lui la riconosce dalla cascata di erre blese e strascicate che si rincorrono come libellule!
«Oh, Signore! Ciao Aurora! Quanti anni!»
Si guardano, sorridendo un po’ ebeti, impalati lì nell’ingresso di Marco, ritrovandosi dopo così tanto.
Aurora lo sollecita: «Dai, fermati! Faccio il caffè! Come stai?» e si avvia con passo armonioso.
I due la seguono.
«Bene, sto bene, io. Ma che ci fai qui? Sei tornata per restare?» vuole sapere Arturo.
«No, sono qui a trovare mio figlio, Marco è mio figlio.»
«Ah, capisco.»
Aurora divertita: «Allora? T’è passata la cotta?»
Arturo avrebbe preferito che non se ne ricordasse!
«No, passata del tutto no, devo dire. L’ho solo messa a dormire fino ad oggi, quando ti ho rivista», scherza lui, facendo il galante, imbarazzato e incredulo dei sentimenti che da bambino provava per lei.
In cucina Aurora prepara il caffè, Arturo e Marco si siedono al tavolo. Lei racconta: «Arturo e io siamo stati a scuola assieme. Cioè, lui era in terza elementare quando io andavo in prima, e mi ha dato il tormento per anni perché voleva che mi innamorassi di lui, tanto quanto lui diceva di essere innamorato di me» e ridono assieme.
È contenta di quei ricordi. Come quando guarda i fiori o i gatti che giocano o le foto di Marco da piccolo. Prepara le tazze, lo zucchero, il latte e mette tutto sul tavolo, mentre il figlio e il postino si distraggono e parlano di motorini e moto.
Arturo la studia. Quasi uguale ad allora. Nervosa e magra, inquieta e precisa, ma non ha più la voglia di vivere che le luccicava negli occhi. La vita non è passata su di lei senza fatica.
Il caffè gorgoglia.
Aurora lo porta in tavola. Arturo fa attenzione a lei ma, soprattutto, al vecchio affetto che aveva dimenticato e provato prima di crescere, di lasciarla andare, di cambiare.
La conversazione si fa un po’ altalenante tra ricordi d’infanzia e notizie di vita scambiate un po’ a caso.
Arturo chiede ad Aurora: « Dive abiti, adesso?»
«A Roma.»
«E ti piace?»
«Sì certo, è la mia città ormai.»
«E tuo marito che fa?»
«Non ho mai avuto un marito» gli risponde semplicemente Aurora.
Lui tace e la guarda negli occhi.
Lei allunga la mano e gli toglie un piccolo pelo dalla spalla.
Arturo vede l’orologio appeso alla parete: «Devo andare, è tardi. Devo terminare il giro, spero di rivederti prima che passino altri trent’anni!».
Aurora si alza e sorride, dolce: «Sì, vedrai che adesso che ci siamo ritrovati, ci vedremo spesso. Succede sempre così.»
Arturo indossa in fretta la giacca impermeabile, sale sulla moto e si allontana nella pioggia. Marco e Aurora rimangono un momento ad osservarlo.
Due settimane dopo Marco, rientrando, dice a mamma: «Ho incontrato Arturo stamattina e ho pensato di invitare a cena anche lui domani sera, oltre al mio collega Renato.»
«Bella idea, hai fatto bene. Così io parlerò con lui dei vecchi tempi e tu di lavoro con Renato.»
Aurora cammina avanti e indietro. Dalla cucina alla camera e dalla camera alla cucina. Si sarà provata tutti i vestiti della valigia, pensa Marco, mentre, intenerito, le consiglia di mettersi la gonna nera e la camicia rosa, di certo non quel vestito a fiori! È contento di vederle addosso quel po’ d’adolescenza.
In terrazza il barbecue è pronto, quando puntuale il campanello suona. Marco lascia che sia Aurora ad aprire. Sicuramente è Arturo, Renato ha avvisato che tarderà un po’.
«Arturo! Ma sei impazzito? Ti sei comprato una fioreria? Non dovevi!» ride Aurora osservando il mazzo di fiori che quasi sommerge Arturo.
«Sì, che dovevo! Ti ricordi? Quando correvamo in primavera sui prati e tu ti buttavi in mezzo alle margherite come se volessi abbracciarle e dicevi che le adoravi?»
Aurora ride. Sì, ricorda. Le adora ancora.
Marco li sente parlottare in cucina, mentre segue gli ultimi preparativi in terrazza ed è sereno. Renato è un tipo un riservato e un poco introverso, ma tranquillo e nessuno rovinerà la serata a quei due. Quando suona di nuovo il campanello Marco rientra avvisando: «Vado io, mamma. Tranquilla!»
Apre e saluta l’ultimo invitato. Renato gli porge una bottiglia: «T’ho portato il Merlot di cui ti parlavo a pranzo l’altro giorno. Credo che ti piacerà.»
«Grazie Renato, lo assaggio volentieri. Vieni che ti faccio conoscere mamma e Arturo.»
Raggiungono gli altri in cucina.
Arturo e Renato si salutano, si stringono la mano, si fissano.
Aurora li osserva e si sorprende che siano un po’ rigidi. Pensa: ‘magari si conoscono e non si trovano molto simpatici’, appena in ansia per la riuscita della serata.
Marco esce per seguire la grigliata mentre gli altri si siedono attorno al tavolo e iniziano a chiacchierare.
Renato racconta ad Aurora aneddoti della vita lavorativa con Marco. Aurora ride di gusto. Poi si accorge che lui sposta spesso, inconsapevolmente, la sua attenzione su Arturo, dall’altro lato del tavolo.
Marco rientra allegro portando cena e scompiglio: « Ecco qui, carne ben cotta, peperoni, zucchine… Mamma passami l’insalata. E’ là, sul ripiano.»
«Eccola, serve altro?»
«Il pane, prendi il pane, l’ho appena affettato.»
«Ecco qui. A posto?» chiede Aurora.
«C’è un sacco di roba! Anche troppo!» le rispondono in coro gli ospiti.
Si siedono e la conversazione prosegue sul tema del lavoro, dei turisti, delle giornate estive. Aurora si diverte, ma non può fare a meno di notare che Arturo, senza intenzione, continua a guardare Renato.
Il vino disinibente allevia le tensioni e con serena spensieratezza la serata, tra un brindisi, un aneddoto e un ricordo d’infanzia si avvia alla fine.
Lentamente si alzano e si avvicinano all’atrio. Renato chiede ad Arturo: «Io vado verso il centro, ti serve un passaggio?»
Arturo risponde: «Sì, grazie» consapevole che la mattina dopo dovrà recuperare l’auto parcheggiata poco distante.
Salutano ed escono.
Marco chiude la porta e chiede alla schiena della madre: «Stanca?»
Aurora si volta, gli occhi scuri delusi: «No, nessuna stanchezza, ma vado a stendermi, è meglio. Mi sa che ho bevuto un po’ troppo.»
«Ma sei stata bene, no, mamma? Vedrai ancora Arturo?»
Aurora gli risponde: «Sì, certamente incontrerò ancora Arturo, ma non come avevi progettato tu. Arturo s’è innamorato stasera, non hai visto?»
«Beh, allora? Innamorato di te lo era già da un pezzo!»
«Non di me, sciocco. Di Renato. Arturo s’è innamorato di Renato» e rientra nella sua stanza, lasciando Marco a dispiacersi per lei.