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Unamoredifonduta

Non ci siamo mai visti prima, ma ci siamo piaciuti subito.
Non ci conosciamo. Abbiamo, però, camminato fianco a fianco, zaino in spalla, scarpe grosse, pensieri zero.
Accanto e distanti.
Soli e assieme.
Ci sorridiamo, ci guardiamo, ci accostiamo, ci tocchiamo e ci allontaniamo.
Non parliamo mai: in avvicinamento, mentre montiamo la tenda (la sua, che era più grande), mentre indossiamo le scarpette da arrampicata, mentre arrivavamo in vetta.
Una direttissima. Frenetica.
Una gara, ma anche affiatamento e fatica condivisa.
Silenzio, serenità, essenzialità.
Complicità, sfida, piacere.
Senza fiato, in cima, ci stendiamo a riposare.

Dallo zaino toglie barrette di cioccolata che condivide.
Stregati dal gioco del silenzio nel sibilo del vento, mangiamo.
Guardando l’intensità dell’azzurro. Sentendo il sole.
Percependo noi.
Scoprendo noi: tocco di dita, tocco freddo di naso, tocco lieve di labbra.
Senza parole.
Sguardi, gesti, silenzi.
Finché è ora di rientrare.
Discesa mozzafiato, sfiorandoci, baciandoci, toccandoci. Conoscendoci.
E in tenda, finalmente, un amore lungo, lento, profondo, appagante.
Poi: fame.

Tira fuori un fornellino da bivacco ultima generazione, iper tecnologico, e gli ingredienti per una fonduta
di fontina.
Mentre il formaggio si scioglie rompe le uova, separa il tuorlo con estrema perizia, facendo colare l’albume in un sacchettino che poi stringe a nodo stretto.
Taglia il pane a pezzetti, continuando a mescolare, concentrato.
Mangiamo pane e fonduta, imboccandoci a vicenda, spalmando fonduta bollente e leccandola.
Giocando placidi, in silenzio.
Finita la cena, rifacciamo l’amore nel sacco a pelo.
Un attimo prima d’addormentarsi lui mi chiede a bassa voce, con lentezza: «Come ti chiami?»
In un orecchio gli susurro: «Frida.»
Vuole sapere: «E tu? Non vuoi conoscere il mio nome?»
«No.»
Mi giro sul fianco, dandogli la schiena, e mi addormento.
La mattina presto sguscio fuori senza rumore, sorridendo all’alba nuova.
Libera.

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