Benvenuto, sono Margaret.
Il mio lavoro consiste nel salvare i libri. Tutti i libri possibili.
Quella che visitate oggi è la mia casa.
Mia e dei libri.
La scritta era incisa su una targa d’ottone lucidato cementata nel muro accanto al portone d’ingresso di quella specie di paese nella città che, a quanto sembrava, era la casa di Margaret Campbell.
Talia aveva avuto l’incarico di intervistare quell’eccentrica filantropa, che riteneva una vecchia strampalata e malata di mente, ispirata solo dall’amore per i libri e maniacalmente dedita alla loro conservazione.
La cafona della direttrice, due mattine prima, era caracollata sui tacchi altissimi fino alla sua scrivania e, non dimenticando di passarsi le dita tozze dalle unghie finte e lunghissime tra i capelli, osservando che effetto faceva la sua presenza sui maschi dell’open space, le aveva ordinato di andare! e di riportarle l’intervista più esclusiva dell’anno.
Il giornale aspettava da anni l’occasione di pubblicare, nell’inserto domenicale, un articolo esauriente che svelasse i tratti salienti del carattere di questa misteriosa e schiva, Talia aggiungeva anche irritante, Margaret Campbell. Nessun giornalista ancora era riuscito a farsi spiegare come e perché avesse raccolto almeno una copia di tutto quanto stampato da Gutenberg in poi, ma ancor meno come mai fosse riuscita ad acquistare, palazzo dopo palazzo, una porzione della capitale, a recintarla e a farne quasi una fortezza. Una città di libri, per i libri, con i libri, solo di libri.
Talia non amava i recinti e le fortezze in genere, la mettevano a disagio e le pareva che dietro alle barriere, anche quelle di fumo, si dovessero nascondere segreti spesso poco gradevoli. Comunque, riscossi tutti i crediti che aveva tra amici e conoscenti, era riuscita ad ottenere un appuntamento per l’intervista. Le era costato parecchio tempo e l’aveva innervosita dover chiedere a molte persone quel favore.
Era fatta, però! In un paio di giorni aveva ottenuto l’incontro e questo la gratificava e le confermava che possedeva i contatti giusti (forniti dalla ricca famiglia del padre) per fare carriera, il talento doveva dimostrarlo da sé.
Aveva riempito la sua sacca da scoop, definita così da suo fratello che gliel’aveva regalata al compleanno, di notes e penne, macchina fotografica, registratore grande da mettere sotto il naso dell’intervistato e quello micro, da tenere in tasca per ogni evenienza, e la piccola e poco formale telecamera che le permetteva però di ottenere immagini ad alta risoluzione. Ben equipaggiata era uscita dall’open space seguita dagli sguardi invidiosi dei colleghi ed era salita sulla sua auto.
Era arrivata all’ingresso principale del regno della Campbell con la sua Mini in circa venti minuti, ma al cancello il tempo s’era fermato: aveva dovuto declinare le sue generalità ad un uomo in divisa, nemmeno stesse per accedere alla reggia di un magnate del petrolio. Impaziente, aveva dovuto attendere almeno dieci minuti prima che lui ricevesse il permesso di farla entrare.
Odiava sempre di più quella giornata, il suo incarico e anche Margaret Campbell.
Finalmente la guardia le aveva fatto cenno di avvicinarsi e le aveva dato le istruzioni: «Per la casa della Signora: sempre dritto fino alla fine del viale. La vede subito. È una casa grande e bianca.»
Talia aveva viaggiato a velocità moderata curiosando. Il viale presto si era trasformato in qualcosa di simile alla via di una città, con i marciapiedi gremiti di gente e i palazzi più o meno alti a fare da sfondo.
Spazientita Talia continuò sempre dritta fino in fondo e, alla fine, la vide.
L’abitazione di Margaret Campbell, che faceva terminare di botto la strada, sembrava minuscola se confrontata con i palazzi che le stavano attorno. Era totalmente immersa nel sole. Un’abitazione a un piano, circolare e bianchissima. A delimitare il giardino, che traboccava di piante e di fiori, un basso, raffinato e traforato recinto di alabastro.
Talia parcheggiò nell’apposito spazio e si diresse alla porta della casa che si aprì mentre ancora si avvicinava.
In piedi ad attenderla una donna di mezza età, vestita di nero, dalla carnagione chiara, gli occhi azzurri e i capelli schiariti da un bravo parrucchiere. A piedi scalzi si avvicinò a Talia sorridendo e porgendole la mano con simpatia.
Talia non si ammorbidì, la osservò attentamente ancora piuttosto di malumore. Notò con fastidio che indossava un completo pantaloni di sartoria in seta e si accorse dell’accurata manicure, del viso profondamente idratato e curato. La donna sprizzava aria di benessere da spa di lusso e ricercatezza. Perfino il suo profumo era particolarmente gradevole ed originale.
Talia si sentì inadeguata, inferiore e impreparata a sostenere il confronto nei suoi jens e scarpe comode, impacciata dalla sacca con l’attrezzatura per l’intervista.
«Fatto buon viaggio? Ha faticato a trovare la casa?» le chiese Margaret.
«Sì, cioè no! Non ho avuto problemi. Tutto a posto. La ringrazio per la sua disponibilità e per avermi accordato l’intervista, Signora Campbell» rispose Talia stringendole la mano. Le era parso che negli occhi della donna fosse passata un’ombra leggera, qualcosa di inespresso.
«Prego si accomodi» disse la padrona di casa dirigendosi all’interno.
Percorsero un lungo corridoio che portava in un’ampia stanza. Tre pareti erano dipinte di bianco, la quarta aveva larghe porte finestre scorrevoli munite di leggere tende silenziose.
La monocromia era interrotta da pochi mobili in ebano scuro che componevano un arredamento essenziale, seppur comodo e accogliente, e da alcuni pannelli appesi alle pareti raffiguranti paesaggi africani in un turbinio di sfumature arancioni e gialle.
Talia, suo malgrado, si sedette nella poltroncina di fronte a quella scelta da Margaret e sentì che l’imbarazzo scemava un po’. Iniziava il suo lavoro, tutto il resto finiva in secondo piano.
Margaret voleva proporle un ambiente sereno e una donna serena. Talia si conformò e con calma chiese il permesso di utilizzare registratore e macchina da presa, li sistemò con pazienza e precisione. Si munì comunque di notes e penna, che facevano ‘giornalista vero’.
La signora Campbell le chiese se desiderasse bere qualcosa ma Talia rifiutò, voleva iniziare al più presto. Poi, iniziò con le domande.
«Per prima cosa volevo chiederle: come mai tutto questo amore per i libri?»
«Dammi del tu, per favore. Saremo entrambe più a nostro agio. L’amore per i libri, chiedi? Beh, è nato con me ed è cresciuto negli anni, diventando prepotente e sempre più esclusivo man mano che il tempo passava. Come tutte le passioni, no?»
«Sì, forse sì» accondiscese Talia «ma sei arrivata praticamente a costruire una città per i libri, come ci sei riuscita?»
«Amore e pazienza, direi; e tantissima fortuna. Sì, fortuna pura e semplice. Tanti anni fa, ad un noiosissimo party a New York, mi fu presentato il multimiliardario Billy Morgan, uomo tutto d’un pezzo, incarnazione del più puro sogno americano. Nato povero, istruzione così così, ma con spiccato carattere! Lavorando nel campo fognature, come amava dire, ha raggranellato, dollaro su dollaro, un’immensità di denaro. Io iniziai a parlargli dei libri e delle iniziative che stavo promuovendo per salvarli tutti, o almeno la maggiore quantità possibile. Gliene parlai per ore e lui ascoltò sempre, incitandomi a continuare, quando mi fermavo. Sembrava sinceramente interessato ed ero contenta perché, come al solito, cercavo fondi. Purtroppo mi deluse, non mi diede nulla. Alcuni anni dopo però, quando morì, scoprii che mi aveva nominata erede universale nel suo testamento e, non essendoci altri parenti in vita, il denaro, tutto il suo denaro, venne davvero a me. Quindi, vedi? Fortuna. Da allora ho iniziato a costruire questa città per i libri. Tutto qui.»
Mentre parlava sedeva in punta di cuscino, composta, ferma. Rilassata, ma vigile.
Talia sentiva che la donna recitava una parte. Che restava in superficie, che faceva risaltare il suo accattivante e ben studiato ruolo.
«Ma come funziona questa città, cosa fate qui?»
Margaret si mise a ridere e rispose che prima della fine della giornata l’avrebbe fatta accompagnare in giro da uno dei suoi collaboratori, ma senza telecamera e macchina fotografica.
Poi continuò: «La cosa più importante è che io adoro i libri non solo per i concetti, i messaggi e le storie che ci si possono trovare dentro, ma amo anche la carta dei libri, l’inchiostro, la pelle per i tomi, le immagini delle copertine nelle edizioni economiche, i font… Cioè adoro anche la fisicità del libro. Ho imparato a conoscere che, nel tempo, la carta su cui scrivere è stata fabbricata con i più disparati materiali: la pergamena, il bambù, il papiro. Con la rafia di gelso, la canapa, la dafne e la paglia. Con il lino, la corteccia e i pioppi. Ho imparato che esistono svariate tipologie d’inchiostro: quello di china, oppure il ferrogallico, o l’inchiostro di seppia e via via fino all’inchiostro digitale…» la Campbell rise di nuovo sollevando all’indietro la testa, il mento in alto a scoprire il collo, ma gli occhi bassi che non mollavano Talia «scusami, mi sto facendo prendere la mano dalla mia passione!» concluse.
«No, anzi era molto interessante. Continua, grazie.» dichiarò Talia fingendo di essere stregata.
«Per farti capire, ti dico che ho iniziato collezionando libri e ho finito per scoprire mondi. Sì, credimi! Ogni materiale che forma un libro nasce e si sviluppa in un mondo a parte. Tecnici, artigiani, industriali contribuiscono alla sua nascita e alla sua formazione. Nella mia città ospito il meglio. Il meglio che può essere pagato. Ho assunto i migliori ricercatori in ogni campo legato al libro. Nella mia città praticamente si svolgono tutte attività di ricerca. Si studiano nuovi materiali, ma anche nuove tecnologie per il recupero e il restauro dei vecchi fogli. Si ricercano innovative metodologie di conservazione, dalle nuove teche alle nuove librerie tecnologiche … Insomma vedrai! Ogni aspetto della vita in qualche modo legato al libro, nella mia città trova spazio» ribadì Margaret, muovendo un poco le mani e facendo così tintinnare un bracciale originale, uscito dalla manica di seta. Bracciale d’argento con pendagli a forma di libro. C’erano scritti anche i titoli, ma Talia non poteva leggerli. Troppo distante. Inquietante che a cadenzare i libri ci fosse un teschio: due libri, un teschio; due libri un teschio…
Talia si sentiva affascinata, ma si accorse che stava fissando troppo il monile.
Era incerta, non sapeva se desiderava di più continuare la conversazione con Margaret Campbell, che sentiva in procinto di finire, o gironzolare per quella struttura e magari di riuscire a carpirne qualche segreto!
Per la forma continuò: «Tutto questo da sola?»
Margaret le rispose, divertita: «Non direi proprio! Qui vivono duecentoventitrè tecnici con le loro famiglie, più personale vario -addetti alla sicurezza, elettricisti, idraulici, giardinieri ecc. ecc.-. Siamo parecchi ad amare i libri! Ma mi sembra di capire che sei ansiosa di visitare la mia creatura, no?»
«Vero, vero! Sono interessata e intrigata.»
«Bene!» rispose la signora Campbell alzandosi.
Talia raccolse le sue cose, prese la macchina fotografica digitale compatta e scattò alcune foto della stanza e di Margaret, poi la tenne in mano, pronta per altre nuove inquadrature.
La Campbell si allontanò e tornò accompagnata da due alti uomini vestiti di grigio: un ragazzo giovane e un uomo di colore che presentò: «Talia, questo giovane è Fahèl, uno dei miei più fidati collaboratori. Ti accompagnerà nella visita. Questo invece è Isael, uno dei miei più cari amici.»
Talia strinse le mani ai due uomini.
Voleva fare qualche domanda e qualche altra foto, ma Fahèl le indicò l’uscita sorridendo e lei non poté che andare. Nell’ingresso le fece poggiare la macchina fotografica su un mobile basso di bambù. Andarono assieme a ficcare il naso nel mondo dei libri.
Margaret Campbell entrò in cucina e guardò dalla finestra Fahèl e Talia allontanarsi, poi si voltò verso Isael e gli disse: «Mi raccomando, non la zona F!»
Fu rassicurata: «No, lo so. Tranquilla Margaret, Fahèl è stato avvisato. Non si avvicinerà neppure alla F.»
«Grazie Isael» rispose Margaret. Raccolse uno dei libri posati sul ripiano di marmo della cucina e uscì.