La mia fanciullezza fu libera e gagliarda. Risuscitarla nel ricordo, farla riscintillare dinanzi alla mia coscienza, è un vano sforzo. Rivedo la bambina ch’io ero a sei, a dieci anni, ma come se l’avessi sognata. Un sogno bello, che il menomo richiamo della realtà presente può far dileguare. Una musica, fors’anche: un’armonia delicata e vibrante, e una luce che l’avvolge, e la gioia ancora grande del ricordo.
Per tanto tempo, nell’epoca buia della mia vita, ho guardato a quella mia alba come a qualcosa di perfetto, come alla vera felicità. Ora, cogli occhi meno ansiosi, distinguo anche ne’ miei primissimi anni qualche ombra vaga e sento che già da bambina non dovetti mai credermi interamente felice.
Incipit di Una donna
Sabilla Aleramo
Il libro è autobiografico e, al di la della brevità del titolo, Una donna, nasconde il complesso mondo della Aleramo. Le sue difficoltà di donna diversa, educata dal padre a mettere al primo posto il lavoro. Sempre in bilico sul filo della maternità negata, ferita dalle critiche e dalla mancata accettazione da parte delle altre donne che la isolano perché lei non sa svolgere le mansioni di casa è il ritratto di un razzismo di genere ancora ben radicato nella società italiana del 1978 e che ancor oggi procura ferite e disagi.