Il 7 marzo 1974, un’ora prima dell’alba, nel suo appartamento di via Široká 5 che dava sul vecchio cimitero ebraico di Praga, Kaspar Utz morì di un secondo colpo da tempo previsto.
Tre giorni dopo, alle sette e quarantacinque, il suo amico Václav Orlík si trovava davanti alla chiesa di San Sigismondo, in attesa dell’arrivo del carro funebre, e stringeva in mano sette dei dieci garofani che aveva sperato di potersi permettere dal fioraio. Notava con approvazione i primi segni della primavera: in un giardino sull’altro lato della strada le taccole roteavano sopra i tigli con i rametti nel becco e , di tanto in tanto, qualche piccola slavina scivolava giù dal tetto di tegole di un caseggiato.
Incipit di Utz
Bruce Chatwin
Libro scritto poco prima della morte, quando Chatwin era già molto malato, pubblicato postumo nel 1988. Non va dimenticato che Chatwin per anni aveva lavorato come battitore da Sotheby’s ed è probabile quindi che per il personaggio principale di questa storia si sia ispirato ad un vero collezionista incontrato a Praga.
Chatwin ci restituisce uno spaccato di storia mentre ci descrive il suo Utz che lotta, aggrappandosi alla sua collezione tra la cruda drammatica realtà della seconda guerra mondiale e i primi anni dello stalinismo in una Praga dove non esiste più la proprietà privata. Utz ama la sua collezione, ma non può mai lasciarla, minacciata costantemente dall’alienazione ai beni statali. Riesce a raggiungere un accordo con le autorità: predisporrà la catalogazione accurata della collezione e in cambio potrà averne l’illusone del possesso, fino alla morte. Poi le sue fragili statuine entreranno a far parte dei beni del museo. Ma l’attaccamento di Utz alle statuine lucide e dorate in realtà è la raffigurazione dell’immenso rimpianto che il protagonista sente per lo splendore della vita della vecchia corte neo-classica.
Grande analisi psicologica sottolinea questo personaggio che seppur gentilmente e garbatamente, seppur sempre sottomesso lotta contro due gigantesche barbarie, quella nazista e quella staliniana, proteggendo i ‘suoi’ Arlecchini e le ‘sue’ sorridenti Colombine.
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