Stasera partiamo dal capolinea piuttosto carichi.
Un gruppetto di giovani verso il fondo.
Una signora bislacca dalla pettinatura rasta, occhi grandi e mento cascante.
Quattro signore, turiste chiacchierine dagli abiti Biedermeier e accento romagnolo. Un giovanotto semi-sdraiato sui miei sedili preferiti, con lo spazio che gli si accalca intorno perché è minuto; ha la pelle e gli occhi scuri e un piumino alla moda. Mi siedo nella fila davanti alla sua, sempre comoda alla porta posteriore di discesa. Pessima pensata. Devo respirare e inalo le zaffate alcooliche del tipo, variegate da retrogusto d’aglio e fumo stantio. Mi viene il bruciore allo stomaco. Mi appiccico al finestrino e guardo fuori. Le porte si chiudono, l’autista accelera e si va, tra dondolamenti e sobbalzi. Tre minuti dopo si ferma, fa salire un controllore e riparte. L’uomo è molto alto e molto robusto. Berretto decrepito stile ferroviere, borsa in cuoio ormai del tutto morbida e pinza fora biglietti. Il suo sguardo scruta tutti, uno ad uno: “’Sera.” dice e “’Sera.” alcuni di noi gli rispondono. Uno della gioventù, nella fila di fianco alla mia, inizia a confabulare con la ragazza seduta alle sue spalle che chiama ”Bellina” e che non ha il biglietto. Il ragazzino ne tira fuori uno usato dalla tasca del giubbotto, s’inumidisce il pollice con la lingua e poi lo strofina sulla stampigliatura. Il controllore inizia la verifica dei biglietti e avanza barcollando aggrappandosi ai poggiatesta con le grosse mani. Il ragazzino ha consegnato a Bellina il biglietto lavorato e tutto il gruppo è in tensione. Adrenalina a buon mercato. Il mio abbonamento è ok. Bellina porge il capolavoro al controllore e lui lo osserva. La luce è fioca, non vede bene. Borbotta e passa il pollice più volte sulla stampigliatura. Ci pensa un po’ su e lo accetta, credo, solo perché lei è proprio bellina. L’alticcio passeggero dietro a me non ha il biglietto. Lo afferma con voce impastata, priva di accenti e piena di puzza. Il controllore fa scattare il fermaglio della borsa per prendere il blocchetto. Iniziano la compilazione, stentata e tutta in salita, del modulo. “Cognome” “Krjukov” “Nome” “Arseniy” “Mi dica lettera per lettera.” Il passeggero esegue: “kappa, erre…..” Il controllore in difficoltà: “Mi dia un documento, che faccio prima!” “Non ho un documento.” “Come sarebbe a dire che non ha un documento? Mi deve dare un documento, se glielo chiedo!” “Sono uscito di fretta stamattina e ho dimenticato a casa il portafoglio con i biglietti e i documenti.” “Deve venire con me dai carabinieri, se non ha i documenti.” “Non ce li ho.” “Allora, andiamo dai carabinieri.” “Va bene. Mi avverte lei quando dobbiamo scendere?” “Sì” Che peccato! Non vedrò la scena. La mia fermata è prima. Il controllore si posiziona di traverso all’uscita, forse per evitare l’alito variegato. L’imbarazzo serpeggia. L’autista accosta alla fermata del centro e apre solo la porta in testa alla corriera. Uno spostamento d’aria e uno scalpiccio velocissimo. Il controllore che grida all’autista: “Fermalo!” mentre si avventa in avanti per afferrare il piumino alla moda. Il giovanotto è un’anguilla imburrata e gli svicola tra le dita. Un salto, un nuotare a bracciate ampie che fa cadere uno dei cappelli con piuma delle chiacchierine. L’autista si alza, si gira, apre le braccia e, con forza, le stringe forte al suo petto, vuote. Il giovanotto si è abbassato ed è riuscito a caracollare sui gradini, evitando a pelo la collisone fatale con un donnone imbacuccato in salita. E’ fuori. Dal finestrino vedo il sorriso da volpe che scappa veloce, mentre il controllore sbraita all’autista che grida di rimando al controllore, i ragazzini applaudono e fischiano, le turiste si alzano e si siedono scompostamente sorprese, e la signora bislacca mantiene un aplomb da milady.